Sono passati 35 anni fa dalla notte dell’ottantasei: «Le conseguenze radiologiche e non dell’incidente – scrive l’Oms – hanno coinvolto direttamente e indirettamente la vita di milioni di persone in Europa. Questo anniversario ci offre l’opportunità di riflettere, di imparare da quelle lezioni. E ancora una volta, di apprezzare lo sforzo eroico di chi per primo rispose, correndo al reattore danneggiato e sacrificando la propria salute, in molti casi la propria vita, per salvare quella degli altri».
Oggi il reattore che aveva scaraventato in aria frammenti del proprio cuore è ricoperto da un arco d’acciaio per ragioni di sicurezza «È la più grande struttura mobile mai costruita», osserva Axel Reiserer, responsabile Relazioni con i media per la Bers. Completato nel novembre 2016, l’arco che ha trasformato il panorama di Chernobyl è in seguito stato consegnato alle autorità ucraine.«Ma questa non è la fine della storia – spiega Reiserer -. Il fatto che il New Safe Confinement abbia un arco di vita di cento anni significa che ora è il momento di programmare, concordare e realizzare la fase successiva dei lavori».
Oggi l’arco d’acciaio fa da scudo alle 200 tonnellate di combustibile nucleare radioattivo che si pensa siano rimaste all’interno del reattore.
«Pensiamo che inserire Chernobyl nella lista dell’Unesco sia un primo passo per rendere questo luogo una destinazione unica di interesse per l’intera umanità – ha spiegato nei giorni scorsi all’agenzia Reuters Oleksandr Tkachenko, ministro ucraino della Cultura -. L’importanza della zona di Chernobyl va al di là dei confini dell’Ucraina». Un luogo della memoria, ma anche un luogo di tributo per le vittime, gli operatori della centrale, i vigili del fuoco morti nel giro di tre mesi per la radioattività assorbita. Alle altre vittime scomparse per le patologie sviluppate nei mesi seguenti che provenivano da quelle radiazioni.