Prosegue la trattativa, per interposta persona, fra il Garante Grillo e l’aspirante Capo Conte. Ma nei 5 Stelle i timori per una rottura ancora possibile sono tanti. Emanuele Buzzi per il Corriere
«Tre ore di riunione – dalle 17 alle 20 – per lavorare ai punti intricati della trattativa da sbrogliare: il comitato dei sette saggi voluto da Beppe Grillo si muove. Si entra in una fase più calda, operativa, e ovviamente più delicata. I sette agiscono relazionando sia Beppe Grillo sia Giuseppe Conte (e anche i rispettivi legali) sul lavoro svolto. E ieri per la prima volta da giorni dai Cinque Stelle filtra «ottimismo». «Sono stati fatti passi avanti», viene fatto notare: un segnale non da poco in un quadro criptico. Prima dell’incontro già si parla di «problemi risolti per tre quarti, di un’intesa sul 75% sullo statuto». «I nodi sono racchiusi in venti parole, tre o quattro frasi in tutto su cui si può arrivare a un punto di incontro», assicura un pentastellato. La tensione però rimane alta. Uno dei saggi cerca di spegnere ogni polemica e di stemperare le indiscrezioni. «Silenzio totale», invoca. E prosegue: «Chi parla vuol far saltare il tavolo». La situazione è delicata e sia il garante sia l’ex premier soppesano le mosse dei sette con attenzione. La soluzione che si sta cercando deve essere convincente sia da un punto di vista dei contenuti sia da un punto di vista comunicativo: nessuno deve perdere il braccio di ferro. E la cortina del silenzio viene fatta calare anche intorno ai rispettivi staff. Anche i due duellanti fanno mezzo passo indietro. I piani B – gruppi autonomi contiani e triumvirato con Fico, Raggi e Di Maio – sono in naftalina in attesa dell’evolversi del negoziato. Uno dei problemi che il comitato affronta è quello dei tempi: per avere un numero «decoroso» di liste in campo alle Amministrative il M5S deve chiudere la partita delle beghe interne entro e non oltre il 15-20 luglio, in modo da poter dare il via libera nei territori all’uso del simbolo. La pressione è alta. Stefano Patuanelli assicura: «Cercheremo di essere brevi, ma ovviamente il tempo necessario ce lo prenderemo tutto». Anche il contiano Ettore Licheri assicura i senatori: «Andremo avanti a oltranza». Per rendere l’idea di quanto però sia importante ogni minuto, tra i pentastellati circola l’indiscrezione che la riunione interrotta alle 20 riprenda in serata e vada avanti durante la notte. C’è chi taglia corto: «Non c’è bisogno, riprendiamo domani». ma l’attesa nei gruppi è logorante. Le notizie dai sette – anche per evitare che vengano rivelate ai media – arrivano con il contagocce. «Vogliamo capire cosa sta accadendo, spero in un aggiornamento della situazione quanto prima», confida un parlamentare. L’incertezza, dopo settimane di prese di posizione, pesa. E non solo nel Movimento. Anche tra gli alleati c’è chi sottolinea come sia necessario un cambio di passo. Sulle liti interne al Movimento interviene anche Enrico Letta, ospite di «In Onda» su La7. «Temo l’instabilità e la rottura vorrei non accadesse, sarebbe regalo un regalo alle destre», dice il segretario dem. E prosegue: «Ora è fondamentale sostenere il governo Draghi e far sì che duri fino a fine legislatura». Letta al tempo stesso sottolinea le affinità che legano il M5S contiano al Pd: «I sondaggi dicono che Conte è una cosa un po’ diversa dal M5S delle origini». «Io e Conte non siamo così diversi dal modo di porsi – aggiunge -. Io credo che alla fine conteranno i contenuti e i percorsi». Sul futuro, però, pesano le incognite che dovranno essere sciolte a breve. Ma dopo giornate a dir poco convulse, quella di ieri, sembra essere una giornata di svolta, la prima in cui tra i pentastellati si torna a guardare l’orizzonte con più serenità. «Un passo alla volta, però, non c’è bisogno di correre». E il primo passo verso il disgelo sembra fatto».
Luca De Carolis per il Fatto sottolinea le difficoltà a livello locale.
«I Cinque Stelle che stanno di sopra, quelli nel governo e nei Parlamenti, discutono e discuteranno. Per altri giorni, forse almeno per un’altra settimana. Perché la mediazione del comitato dei sette sullo Statuto, quella per non cadere nel pozzo della scissione, è l’ultima occasione e non si può sbagliare E poi, anzi soprattutto, serve tempo per far sbollire Beppe Grillo, il Garante che è un’eterna variabile. Però sui territori ciò che resta del Movimento mastica rabbia e vorrebbe urlare di dolore. Perché a ottobre ci sarebbero le Amministrative, e mentre ai piani alti si discute di norme, diarchie e agibilità politica, i 5Stelle nelle città rischiano di ritrovarsi sbaragliati senza neppure aver giocato: privi di candidati, coni (pochi) accordi cancellati o sminuiti, insomma ai margini. “E poi dovremmo fare le liste, verificare nomi e curriculum” ricordano da più parti. Ergo, il tempo sarebbe già scaduto. Eppure il contiano dei contiani, il ministro Stefano Patuanelli, deve dire la verità sulla tempistica del comitato di cui fa parte: “Cercheremo di essere brevi, ma ovviamente il tempo necessario ce lo prenderemo tutto”. E dal M5S traducono: “Potrebbe servire tutta la settimana”. Dovrebbe star bene anche a Giuseppe Conte, il possibile capo che venerdì scorso era in procinto di dire addio e ora nei colloqui privati ripete che lui non ha obiezioni, “il comitato vada pure avanti, a patto di mantenere l’impianto e i punti fermi del mio Statuto, altrimenti…”. Altrimenti, l’avvocato è pronto a salutare, perché la diarchia con Grillo non la accetterà mai. Nell’attesa, ci sono i danni già evidenti dello scontro tra il Garante e il rifondatore. E si può ripartire dalla Calabria, dove la candidata dei giallorosa Maria Antonietta Ventura si è fatta di lato venerdì scorso. Così ieri i parlamentari calabresi del M5S si sono riuniti e la maggior parte ha proposto di candidare un 5Stelle come nome della coalizione, “perché ormai è tardi per trovare qualcuno della società civile”. Ma c’è anche chi ha rimesso in discussione l’alleanza con Pd e Leu, proponendo di convergere sull’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Perché in assenza di guida politica, torna un’ipotesi. Problemi diversi ma ugualmente rumorosi a Bologna, dove il veterano Max Bugani è stato il mastice dell’ accordo tra il Movimento e il centrosinistra, cementato dal sostegno dei grillini e dello stesso Conte alla candidatura del dem Matteo Lepore, vincitore delle primarie. Il 14 luglio Lepore partirà con la Fabbrica del programma, dieci tavoli sui temi. Però poi c’è il M5S che non sa ancora se l’ex premier sarà o meno il suo capo. E c’è Bugani che deve tenere i gomiti alti per gli attacchi della renziana Isabella Conti, battuta da Lepore (“Da lei una provocazione continua”). Perché è evidente, una parte del Pd e figurarsi Italia Viva ora puntano a buttare fuori i 5Stelle dalle città dove si è costruita o dove si sta immaginando un’intesa comune. D’altronde la paralisi del Movimento nazionale sta provocando danni anche a Torino, dove l’accordo con il Pd si è già rivelato impossibile. Ma adesso i 5Stelle dovrebbero almeno darsi un candidato. Dovrebbero ma non possono, in tempi di comitati sullo Statuto. Un nodo innanzitutto per la sindaca uscente Chiara Appendino, che Conte vorrebbe nella segreteria del suo M5S. Stasera Appendino sarà a Roma per partecipare domani alla manifestazione nazionale dei sindaci. In programma, assicurano, ha solo incontri istituzionali. Ma chissà se la sindaca troverà tempo per vedere anche alcuni dei maggiorenti del Movimento. Quel M5S dove il comitato si è trincerato nel silenzio. Sulle riunioni, tutte online, filtra pochissimo. Ma uno dei temi è sicuramente l’elezione dei referenti o segretari regionali. E la mediazione potrebbe essere di far votare agli iscritti nomi proposti dal presidente, cioè da Conte. Mentre il reinserimento del Codice Etico sul tavolo ha riportato tra i temi in discussione il vincolo dei due mandati. Un punto su cui sia Grillo sia l’avvocato vogliono consultare la base sul web, certo. Ma il quesito in quel caso farà tutta la differenza del mondo. Un altro nodo, per il M5S che è tutto un guaio».
Torna sulla vicenda del Movimento 5 Stelle Maurizio Belpietro dalle colonne de La Verità.
«La verità è che il partito di Conte sta molto nella testa dello stesso Conte e dei suoi supporter, ma poco nella realtà, perché creare da zero un movimento è cosa che è riuscita a Silvio Berlusconi e anche a Beppe Grillo, due abituati a infiammare le piazze, ma è andata male a tutti gli altri che ci hanno provato. La strada che porta a Montecitorio è lastricata di fallimenti, da quello di Mario Monti a quello di Antonio Ingroia, passando per Italia unica di Corrado Passera e per Fare per fermare il declino di Oscar Giannino, senza dimenticare Possibile di Giuseppe Civati. Sì, tutti erano convinti di fare il pieno, ma una volta aperte le urne sono rimasti a mani vuote o quasi. Conte però, dicono alcuni, non guarda alle elezioni, ma a un orizzonte più vicino, cioè a come non rimanere tagliato fuori dalla nomina del futuro presidente della Repubblica. È possibile, ma capeggiare una scissione non è il miglior modo per sedersi al tavolo delle trattative, perché ci si arriva indeboliti, lasciando spazio al centrodestra, come ha detto con crudo realismo Matteo Renzi, uno che quando c’è da fare qualche operazione spregiudicata è sempre pronto. Dunque, più passano i giorni e più il bluff dell’ex presidente del Consiglio appare evidente. Quando Berlusconi e Gianfranco Fini si scontrarono, il leader di An replicò: «Che fai, mi cacci?». Oggi, a Conte, Grillo potrebbe dire: «Ma ‘ndo vai?» e la frase rappresenterebbe l’epitaffio per un’ambizione smisurata».