Notizie inquietanti dall’estero. Le peggiori arrivano dall’Afghanistan, abbandonato dalle forze militari occidentali. Lorenzo Cremonesi per il Corriere della Sera.
«In Afghanistan i talebani mirano ormai decisamente alla conquista militare dei centri urbani. Nella sola giornata di ieri si sono impadroniti di ben tre capoluoghi di provincia: Kunduz, che con i suoi quasi 380.000 abitanti è una delle città più importanti delle regioni settentrionali, oltre alla vicina Sar-e-Pol, capoluogo della provincia omonima, e Taloqan, capoluogo del Takhar. Se si sommano a quelle catturate tra venerdì e sabato, Sheberghan (sempre nel nord) e Zaranj, nella provincia meridionale di Nimroz sul confine con l’Iran, sono ormai cinque i capoluoghi in mano talebana sui 34 complessivi. Ma la situazione reale è molto più drammatica. Non sembra sbagliato riprendere le dichiarazioni talebane, per cui circa l’80 per cento del Paese sarebbe sotto il loro controllo, o comunque non più in mano ai lealisti del presidente Ashraf Ghani. Le ultime cronache rivelano che gli assedi contro Herat, Lashkar Gah e Kandahar sono vincenti su tutta la linea. Le truppe governative restano asserragliate in pochi edifici e caserme isolati, iniziano a mancare le munizioni, gli aeroporti sono chiusi o funzionanti a singhiozzo, i raid dell’aviazione di Kabul, sostenuta soltanto in parte da quella americana e adesso in difficoltà a causa dell’evacuazione dei contractor stranieri, non riescono a rallentare l’assedio. Gli Stati Uniti hanno inviato in missione in Afghanistan alcuni bombardieri B-52 e AC-130H Spectre per fermare l’avanzata dei talebani. Joe Biden ha fissato al 31 agosto la data finale del ritiro americano, assieme a quello dell’intero contingente internazionale. Ma per allora la stessa capitale potrebbe già vivere l’incubo dell’assedio, con il ritorno delle milizie etniche in guerra tra loro e la fuga di massa verso l’estero dei civili, decisi a non tornare a vivere sotto il tallone della teocrazia talebana, come fu nel periodo compreso tra la metà degli anni Novanta e l’attacco americano nell’ottobre-novembre 2001 in risposta agli attentati di Al Qaeda dell’11 settembre. Per comprendere l’impatto dell’offensiva aiuta osservare la cartina del Paese ed è subito evidente che le loro forze si muovono come un esercito ben organizzato su più fronti contemporaneamente, dalle zone a maggioranza pashtun nel Sud-Est a quelle hazara nell’Ovest, armato a sufficienza e con una strategia precisa. In un primo tempo hanno occupato le zone rurali e le cittadine minori, adesso puntano alle concentrazioni urbane. Hanno studiato le battaglie della coalizione alleata contro l’Isis in Siria ed Iraq: sanno bene che per i droni e jet americani, che ormai partono da lontano, sarà ora molto più complicato operare con efficacia. Gli analisti internazionali continuano a puntare il dito sull’antica alleanza con le forze militari pachistane, che adesso tornano a giocare un ruolo determinante. Dagli accordi di pace con il presidente Trump nel febbraio 2020, i talebani hanno evitato di attaccare i contingenti stranieri, ma si sono concentrati contro i governativi locali. Ed è stato subito evidente che, nonostante i miliardi di dollari e le infinite ore di lavoro investiti dagli Usa e dai loro alleati (inclusa l’Italia) in oltre un quindicennio di addestramento e armamento delle forze di sicurezza afghane, queste non sono in grado di combattere da sole. «Potrebbero venire battute entro sei mesi», ammetteva in giugno lo stesso Scott Miller, che sino al 12 luglio era il generale americano al comando del contingente Nato nel Paese. Non è da escludere possa avvenire prima. Va però sottolineato che le vittorie talebane non sono un fulmine a ciel sereno, bensì rappresentano la sommatoria di una lunga serie di errori e passi falsi commessi dalla coalizione alleata sin dal 2002, quando, a meno di un anno dall’invasione dell’Afghanistan, l’amministrazione Bush decise di preparare l’attacco contro il regime di Saddam Hussein in Iraq. I talebani ebbero così modo di riorganizzarsi quasi indisturbati. Soltanto tre anni dopo gli alleati scelsero di operare sull’intero Afghanistan. Le organizzazioni civili internazionali al seguito si coordinarono poco tra loro, sprecando fiumi di dollari, che in gran parte alimentarono la corruzione locale. Nel 2010 oltre 100.000 soldati alleati non furono in grado di sconfiggere i talebani, che tra il 2015-16 presero Kunduz ben due volte. Già allora fu ovvio che la terza volta sarebbe stata soltanto una questione di tempo».