Il Presidente Usa non ha accettato le richieste dei Paesi europei alla riunione del G7. Gli Usa terranno fede agli impegni presi coi talebani e chiuderanno la presenza occidentale il 31 agosto. Marco Galluzzo sul Corriere della Sera.
«Non ha spinto più di tanto. Joe Biden ha detto no alla richiesta di Parigi e Berlino, gli americani non hanno alcuna intenzione di tentare di prolungare la dead line del 31 agosto per l’evacuazione di tutti i civili afghani che hanno necessità di lasciare il Paese. Il capo del governo italiano ha preso atto che la posizione europea era debole e sarebbe stata respinta. Semmai nel corso di un G7 che è stato anche la presa d’atto ulteriore di un Occidente con le mani legate, senza molte carte in mano per tentare di condizionare in modo efficace la presa di potere dei talebani, Mario Draghi ha scelto un profilo pragmatico e ha puntato su quei pochi temi che possono essere alla portata della comunità internazionale. La situazione L’evoluzione della situazione in Afghanistan, gli aiuti umanitari, la gestione dei migranti e la lotta al terrorismo sono stati i punti al centro dell’intervento del presidente del Consiglio. Draghi ha in ogni caso ringraziato «tutti coloro che stanno contribuendo ad assicurare il buon esito delle operazioni di evacuazione a Kabul, in particolare l’esercito americano, britannico e tedesco». Detto questo il capo del governo ha cercato di guardare oltre la fase di evacuazione, perché c’è la necessità di mantenere un canale di contatto anche dopo la scadenza di fine mese e la possibilità di transitare dall’Afghanistan in modo sicuro. «Inoltre, dobbiamo assicurare – sin da subito – che le organizzazioni internazionali abbiano accesso all’Afghanistan anche dopo questa scadenza». Insomma per Draghi è essenziale che vengano creati una sorta di corridoi umanitari, consentendo ingresso e operatività delle organizzazioni non governative, ed è soprattutto necessario continuare ad avere un’interlocuzione costante con i talebani. Per questo il capo del governo ha rivolto un appello ai leader del G7, schierando Roma come apripista dell’iniziativa: «L’Italia reindirizzerà le risorse che erano destinate alle forze militari afghane (120 milioni di euro) verso gli aiuti umanitari. Chiedo a tutti voi di unirvi a questo impegno, compatibilmente con la situazione dei vostri Paesi». C’è poi la consapevolezza che terminata la fase di evacuazione di queste ore si porrà comunque la sfida di gestire un flusso di migranti che ancora nessuno è in grado di stimare, ma che potrebbe avere dimensioni al momento incalcolabili: «Saremo in grado di avere un approccio coordinato e comune? Finora – ha aggiunto Draghi – sia a livello europeo, sia internazionale, non si è stati in grado di farlo. Dobbiamo compiere sforzi enormi su questo». Insomma la richiesta di uno sforzo collettivo, ma anche un’esplicita bocciatura di quanto finora è emerso. Intesa con Russia e Cina Ma per ogni possibile azione futura niente è possibile costruire in modo efficace, a giudizio di Draghi, senza un’intesa coordinata con Paesi che hanno un’influenza di rilievo su Kabul e i talebani, dalla Russia alla Cina, dall’Arabia Saudita all’India e alla Turchia. Un’istanza che può essere sviluppata solo a livello di G20 (l’Italia sta lavorando per un summit straordinario a metà settembre), e che può essere efficace per dare concretezza a più obiettivi. In primo luogo la lotta al terrorismo, «la nostra cooperazione è essenziale ed è cruciale agire in modo unitario. È fondamentale anche utilizzare tutte le leve diplomatiche e finanziarie a nostra disposizione». Sul coinvolgimento di altri attori a livello di G20 il capo del governo italiano ha incassato un’esplicita menzione nel comunicato finale dei sette leader, e il favore sia di Biden che del presidente francese Emmanuel Macron, oltre che delle istituzioni europee e del premier canadese Justin Trudeau. Solo una sfumatura da parte del presidente degli Stati Uniti, che può essere riassunta così: il dialogo sul futuro dell’Afghanistan con Pechino e Mosca «può essere difficile, ma sono disponibile». Era proprio questo il punto che interessava maggiormente a Mario Draghi: portare a casa un consenso di massima sulla convocazione del G20, soprattutto da parte di Washington».
Federico Rampini su Repubblica racconta “l’assedio” al presidente Biden. Assedio interno e internazionale.
«Abbiamo messo in salvo 57mila persone, le evacuazioni procedono e dovranno concludersi qualche giorno prima del 31 agosto, per lasciare il tempo a un ordinato ritiro delle nostre truppe»: Joe Biden tiene duro sulla scadenza annunciata per la ritirata. Non vuole rischiare altre vite dei suoi militari in quella guerra ventennale che per lui appartiene ormai al passato. Incombe il pericolo di attacchi terroristici, e il presidente non si perdonerebbe la morte di un solo soldato in più. Tiene duro nonostante subisca una specie di assedio, internazionale e interno. Sotto pressione non solo al G7 ma anche da un ampio schieramento bipartisan del suo Congresso, il presidente lancia un avvertimento a Kabul, pone una condizione per rispettare la scadenza del ritiro entro il 31 agosto: «Dipende dalla cooperazione dei talebani». Se continuano a ostacolare l’evacuazione dei cittadini americani e di tutti coloro che ne hanno diritto, il calendario per la partenza finale delle truppe può ancora cambiare. A questo fine Biden ordina al Pentagono di preparare nuovi piani di emergenza flessibili da adattare all’evoluzione della crisi sul terreno. Ma al tempo stesso, a chi lo preme per un prolungamento a oltranza del dispositivo, obietta con l’allarme Isis-K: «Il rischio di attacchi terroristici è molto alto, ogni giorno che passa aumentano i pericoli per i nostri soldati». Su ordine della Casa Bianca è cominciata da ieri sera una riduzione dei soldati schierati all’aeroporto di Kabul. Nello stesso giorno in cui rintuzzava le pressioni degli alleati in seno al G7, Biden ha dovuto rispondere a un’offensiva parallela a Washington, proveniente da un arco di parlamentari democratici e repubblicani. Anche loro favorevoli a prolungare la permanenza di soldati almeno all’aeroporto di Kabul, fino a quando non vi sia la certezza che almeno tutti gli americani siano davvero in salvo. E questo include i tanti casi di doppia cittadinanza, afghani con passaporto Usa. La pressione interna si è dispiegata nel corso di una riunione a porte chiuse, ma diversi politici di ambo le parti hanno fatto dichiarazioni al termine di quella riunione. Al vertice avevano partecipato per l’Amministrazione Biden il segretario alla Difesa Lloyd Austin, il segretario di Stato Antony Blinken, il capo di stato maggiore delle forze armate Mark Milley, e la direttrice della National Intelligence Avril Haines. I commenti dei parlamentari sono stati univoci, a prescindere dall’appartenenza politica. «C’è un ampio consenso bipartisan al Congresso – ha riassunto il deputato democratico Jason Crow del Colorado, un ex militare dei Rangers – sul fatto che dobbiamo portare in salvo i cittadini americani, e dobbiamo evacuare i nostri alleati e i partner alleati. Questa missione non può essere conclusa entro la fine del mese, quindi la data va spostata ». Un’altra democratica, la deputata Elissa Slotkin che fu una agente della Cia, ha aggiunto che i parlamentari hanno chiesto ai ministri e generali di premere su Biden «per un prolungamento della scadenza». Più duro il tono del repubblicano Michael McCaul, il più alto esponente dell’opposizione in seno alla commissione Esteri della Camera: «Se non allunga la scadenza oltre il 31 agosto ci saranno morti, persone abbandonate, e il presidente avrà il loro sangue sulle mani». Mentre crescevano queste pressioni da parte della comunità internazionale e del Congresso, Biden aveva incaricato il capo della Cia, William Burns, di trasmettere il messaggio ai talebani: se manca la loro collaborazione per un’evacuazione pacifica, lo slittamento della scadenza è possibile, e la responsabilità ricadrebbe su di loro. Al tempo stesso però era già cominciato ieri sera un ridimensionamento delle forze Usa all’aeroporto di Kabul. A cominciare da quelle truppe «non direttamente impegnate nello sforzo di evacuazione», secondo le informazioni del Pentagono».