La Repubblica, con Emanuela Lauria, pubblica un documento riservatore di lettura del voto che circola negli ambienti di Forza Italia.
«L’orgoglio forzista sta tutto in una nota interna di analisi del voto che, nel celebrare un risultato di sostanziale tenuta rispetto ai sondaggi, va ben oltre la dichiarazione di esistenza in vita: il documento di dieci pagine, da un paio di giorni sui tavoli di big e deputati, esalta il “ruolo centrale” del partito di Silvio Berlusconi e non manca di assestare qualche elegante fendente agli alleati. Di governo e di opposizione. E’ anche sulla base di questi numeri, e delle conclusioni politiche che se ne traggono, che nasce la netta presa di distanze dei ministri azzurri da Salvini e dal suo strappo sulla delega fiscale. Mai, Fi e Lega, sono stati così distanti, al punto da rendere ormai remota l’ipotesi di una federazione e di rendere più corposi i sospetti di un avvicinamento dei berlusconiani a una piattaforma centrista. Nella nota c’è una bocciatura netta del civismo scelto come compromesso da Salvini e Meloni per le grandi città: si segnala che «fra le candidature del centrodestra ai ruoli apicali solo due erano esplicitamente riconducibili a Forza Italia, Occhiuto in Calabria e Di Piazza a Trieste». E questo significherebbe due cose: «Che vincono candidati non improvvisati, perché entrambi hanno una lunga storia politica alle spalle. E che vincono candidati con un profilo centrista come quelli che solo Forza Italia sa esprimere». Evidente la bocciatura di Michetti a Roma e soprattutto di Bernardo a Milano: «Il centrodestra non riesce a vincere nelle grandi città, dove l’elettorato è più informato e più aperto all’Europa e al mondo… A differenza del passato non abbiamo neanche provato a competere per conquistare questo elettorato urbano: a Milano in passato ci eravamo riusciti con Albertini e Moratti e ci eravamo andati vicini con Parisi». Più chiaro di così. Severa, per usare un eufemismo, la lettura del voto degli alleati: «La nostra coalizione ha fortemente ridotto i voti soprattutto per effetto del forte calo della Lega, che ha perso in due anni 634.652 consensi, pari al 70,2 per cento». Un crollo che, si badi, è valutato escludendo dal calcolo Napoli, dove la lista del Carroccio era stata ricusata. Un crollo che, è sottolineato nel documento “segreto” di Forza Italia, «è in proporzione maggiore anche a quello dei 5 Stelle». E i meloniani? Ce n’è anche per loro: «Il calo della Lega – è scritto – è stato solo in piccola parte compensato dalla crescita di Fratelli d’Italia ». E Fdi costituisce sì l’unico dei grandi partiti ad avere guadagnato voti. ma non si è rafforzato «nel modo clamoroso indicato dai sondaggi ». E con una premessa quasi imbarazzata («Pur non attribuendo a questo dato più valore di quello che merita »), si fa notare che «in questa tornata elettorale Fi risulta il terzo partito del panorama politico, dopo Pd e Fdi ma prima di Lega e 5S». C’è, ed è evidente, un buon tasso di autocompiacimento, ma i numeri, elaborati con l’apporto del politologo Roberto D’Alimonte, portano dritto alla conclusione che bisogna restare saldamente dentro il governo Draghi: «Il fatto di averlo appoggiato coerentemente, pur rimanendo nel centrodestra, è stato premiato – è scritto – da un risultato relativamente migliore rispetto agli alleati e soprattutto ci ha dato un ruolo centrale. La scelta di opposizione di Fdi è stata premiata meno delle attese mentre la partecipazione critica della Lega al governo è stata penalizzata». E tutto questo, viene osservato, «ci dà qualche carta in più da giocare in vista dell’elezione del capo dello Stato». Poco prima, non casualmente, si annuncia il «ritorno in campo del presidente Berlusconi» e si ricorda che «al centrodestra manca la figura di un federatore», quale era l’ex premier «quando i numeri erano a suo favore». Gonfiano il petto, gli ultimi della coalizione. Li davano per finiti e ora mettono in mora i sovranisti».