Conferenza stampa ieri pomeriggio di Giuseppe Conte, che ha voluto dire la sua sulla lunga diatriba con Beppe Grillo. La cronaca di Matteo Pucciarelli per la Repubblica:
«Giuseppe Conte non rompe, non lascia né fonda (per ora) un altro soggetto politico. Ma consegna, simbolicamente ma anche letteralmente – lo farà oggi -, la decisione a Beppe Grillo e al M5S sotto forma di Statuto: la bozza è pronta, c’è scritto che il leader avrà su di sé tutta la responsabilità della linea politica e l’incarico sarà comunque a tempo, ora non resterà che farla votare agli iscritti. Sempre se il garante dirà sì alla proposta di voto. «Decida lui – le parole dell’ex presidente del Consiglio – se essere il padre padrone o un padre generoso». Ma andando con ordine: al tempio di Adriano, laddove per corsi e ricorsi storici il professor Conte venne presentato da Luigi Di Maio prima delle elezioni del 2018 nella sua squadra di futuro ipotetico governo (alla Pubblica amministrazione), il quasi leader del neo-Movimento arriva per la prima volta senza Rocco Casalino a dirigere la conferenza stampa e la prende larga; racconta che non disse subito sì a chi dopo la caduta del suo governo gli chiese di prendere per mano il M5S. Passò qualche settimana, Grillo e il gruppo dirigente del Movimento alla fine lo convinsero in una riunione nella terrazza dell’hotel Forum a Roma. Accettò, lui che non è mai stato un iscritto al Movimento, ponendo delle condizioni: «È inutile imbiancare una casa che ha bisogno di una profonda ristrutturazione, dobbiamo cambiare noi stessi se vogliamo cambiare la società». Si è arrivati così alla riscrittura dello Statuto, quattro mesi di lavoro per risolvere le «ambiguità» con l’associazione Rousseau e rivoluzionare la fisionomia dei 5 Stelle, avvicinandola a quella di un partito classico, con organi diversi, un ufficio studi, pesi e contrappesi. Troppo classico o forse troppo democratico, per i gusti del fondatore. «Non mi presto a operazioni di facciata, ad un restyling, non sono un prestanome né un leader dimezzato», replica Conte. La diarchia non può funzionare, «quando si riorganizza serve una distinzione chiara di ruoli e funzioni». La sostanza è un prendere o lasciare destinato non solo a Grillo ma anche alla “comunità” del M5S, alla quale «chiedo di non rimanere spettatrice passiva e di esprimersi sulla proposta che presento. Non mi accontenterò di una risicata maggioranza, non mi basterà. Mi metto in discussione ma di certo non potrei impegnarmi in qualcosa in cui non credo». Anche perché, ammette Conte, serve un rilancio per una “comunità” definita «sfibrata» e «in declino». Da una parte c’è la fermezza, anche sul fronte della comunicazione, che dovrà restare in capo al leader e la cui gestione non può essere condivisa con Grillo; dall’altra le parole di stima e apprezzamento verso lo stesso garante, «per lui ci sarà sempre quel ruolo ma dovrà essere definito». Nessuna questione personale in sospeso, assicura l’ex presidente del Consiglio: «Non pretendo le scuse di Grillo, ho il senso dell’ironia, ho sempre avuto e sempre avrò rispetto per lui, ma non possono esserci ambiguità». E poi: «Voglio che Grillo sia entusiasta del nuovo corso, non basta la sua fiducia». Un modo per dire che c’è bisogno di vederlo coinvolto, che la sua presenza resta importante. Ma è un colpo al cerchio e un colpo alla botte, nella consapevolezza di chiedere (o imporre?) al fondatore ciò che nessuno aveva mai osato, cioè cedere per statuto, quindi formalmente, ma di conseguenza anche politicamente, quote sostanziose di sovranità sulla propria creatura. Altri punti salienti: non c’è, o non ci sarebbe, alcun piano B per Conte casomai non si arrivasse ad alcun accordo; l’appoggio del M5S al governo di Mario Draghi non sarà in discussione; non è stato spiegato però se nelle varie elezioni amministrative ci sarà ancora la possibilità di votare le candidature online, tema che interessa molto invece ai parlamentari e alla base del Movimento; nella mente di Conte, la rifondazione 5 Stelle è ben impiantata nel «campo largo» della sinistra, per contrastare l’avanzata del centrodestra».
Marco Travaglio chiosa e interpreta Conte, che comunque per lui ha fatto “un’operazione di chiarezza” con la conferenza stampa. Adesso devono votare gli iscritti sulla bozza contiana di Statuto.
«Ieri Conte ha ributtato la palla nel campo di Grillo, ma con dentro una bomba a orologeria che ha già iniziato a ticchettare: quella della democrazia diretta, cioè del voto degli iscritti ai 5Stelle pro o contro il suo progetto di rifondazione del Movimento. È stata un’operazione di chiarezza davanti a tutti gli italiani: a quelli che ancora votano M5S (e sono tanti, a dispetto dei santi), a quelli che non li votano più ma si astengono in attesa di un nuovo motivo valido per farlo (e sono altrettanti), a quelli che non li hanno mai votati ma potrebbero cominciare a farlo se nascesse una cosa nuova, e a quelli che mai li voterebbero. Nessuno d’ora in poi potrà dire di non aver capito le ragioni dello scontro fra i due Giuseppe in quello che resta in Parlamento il partito di maggioranza relativa. Qualcuno aveva tentato di immiserirlo a una lite da portineria: uno che sbeffeggia, l’altro che fa l’offeso, prende cappello e pretende le scuse. Ecco: nulla di tutto questo. La questione non è personale: è politica, anche se il rapporto umano fra Conte e Grillo al momento è ai minimi storici e non sarà facile ricostruirlo. Bene ha fatto l’ex premier a chiarire che non c’è alcun golpe o complotto per sfilare a Grillo la sua creatura, ma l’esigenza di tracciare i confini delle funzioni dell’uno e dell’altro nel movimento che lo stesso Grillo ha chiesto a Conte di ricostruire su basi nuove. Il capo fa il capo e il garante fa il garante, ma il garante conterà sempre più del capo perché il suo mandato è a vita e perché conserva il potere di proporre agli iscritti di sfiduciare l’altro. Fermo restando che il garante è anche il fondatore e qualunque sua sortita avrà un peso infinitamente superiore a quello codificato da qualsiasi regola statutaria. Quella di Conte non è una pretesa prevaricatrice, ma il minimo sindacale delle garanzie per poter avviare il percorso di “riossigenazione”. Un’avventura che, a giudicare dallo zoccolo duro tuttora legato al “marchio” (15-17%), dalla breve distanza dai tre partiti maggiori e dalle attese che Conte suscita nel Paese, può ancora riportare il M5S in cima al podio. Tutto ora dipende dall’intelligenza e dalla generosità di Grillo, che della prima abbonda e della seconda difetta. Ma le parole ferme e al contempo distensive pronunciate ieri dall’ex premier costringono il fondatore a scegliere, e in breve tempo. Se salta la leadership Conte, l’alternativa qual è? Dov’ è un altro capo in grado di risollevare i 5S dopo un eventuale no a (o di) Conte?E soprattutto: come potrebbe il teorico della democrazia diretta negare agl’iscritti il diritto di voto sul progetto di Conte? Dopo mesi di battaglia politica e legale, Conte ha restituito al M5S la lista degli iscritti sequestrata da Casaleggio jr. E ora Grillo che fa: li tratta da soprammobili?».
Speculare e diametralmente opposto il commento di Maurizio Belpietro su La Verità. Della conferenza stampa di Conte, dice, non si è capito nulla. Un momento che è stato l’esatto contrario della chiarezza. Per Belpietro in realtà quella di Conte è un’operazione di “potere per il potere”.
«Come al solito, la conferenza stampa dell’ex premier è stata ricca di ambiguità e ridondante di parole, ma povera di chiarezza, in quanto alla fine, nessuno o quasi dei presenti ha capito che cosa Giuseppi abbia in realtà intenzione di fare. Vuole fondare un proprio partito, convinto di poter riconquistare Palazzo Chigi chiudendo la parentesi di Mario Draghi? Vuole cacciare Beppe Grillo, elevandolo nel pantheon del movimento dopo avergli scippato la sua creatura? Oppure, semplicemente intende costituire una sua corrente rimanendo in attesa sulla sponda del fiume, cioè di espugnare ciò che resta dei 5 stelle? Alle domande, in realtà nessuno sa rispondere, perché in fondo il primo a non saperlo è lo stesso Conte. L’ex avvocato del popolo, dopo la sua arringa in cui si è dichiarato indisponibile a fare il prestanome, è scivolato come una saponetta di fronte alle domande dei giornalisti, evitando con accuratezza di dire parole definitive su alcunché, ovvero sul proprio futuro, su quello dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, ma soprattutto sulla trasformazione del Movimento. Conte ha parlato di cambiamento reso necessario da carenze ed equivoci che hanno accompagnato la vita dei 5 stelle. Ma arrivato al dunque, cioè a spiegare come immagini il nuovo Movimento, non ha saputo dire molto, se non parlare di statuto, piattaforme, scuole di formazione e organizzazione territoriale, senza tuttavia dire nulla sulle idee e sui programmi, sulla direzione che i grillini dovrebbero imboccare. Il discorso è stato talmente generico, gonfiato dagli anabolizzanti di frasi retoriche («Non ha senso imbiancare una casa che ha bisogno di profonde ristrutturazioni»; «Spetta a Grillo decidere se essere il genitore generoso che lascia crescere la sua creatura in autonomia o il genitore padrone che ne contrasta l’emancipazione»), da aver indotto un giornalista militante dei 5 stelle, tal Ivo Mej, a ricordargli che quanto Conte intende cambiare con tanto ardore, bollando il passato come inadeguato, in realtà è il frutto di quella democrazia diretta su cui si fonda il Movimento, ovvero su uno statuto e un direttorio che sono stati voluti e scelti dagli iscritti. Mentre quanto propone l’ex presidente del Consiglio non è altro che un partito ispirato ai principi e ai metodi del Novecento, con un capo, dei vicepresidenti, degli organi dirigenti, una scuola simile alle Frattocchie, cioè alla struttura con cui il Pci formava i propri funzionari, e così via. Un’obiezione che ha colpito e affondato le chiacchiere di Conte, il quale, a proposito di scuola, ha dovuto impapocchiare una risposta senza in realtà dare la sensazione di sapere che dire, parlando di confronto tra gli amministratori, «best practice», trasporti e così via. Sì, quello di Conte è stato il nulla vestito bene. Una volta depurato il discorso dalle mille parole inutili profuse in abbondanza, restano ben poche cose, se non una lotta di potere per il potere».
E Beppe Grillo che cosa dice? Il retroscena per il Corriere della Sera è firmato da Emanuele Buzzi.
«Stavolta con l’ex premier non ci sono contatti diretti. Si parla di un video, di un post e di una pubblicazione a stretto giro, ma con il passare delle ore si ha l’impressione che Grillo voglia far sedimentare la collera, scoprire le carte di Conte e decidere solo in un’ultima istanza cosa fare. Chi lo conosce bene è convinto che alla fine il padre nobile dei Cinque Stelle non romperà con Conte (e la voce comincia a girare a tarda sera in modo sempre più serrato, forse come auspicio, proprio in ambienti Cinque Stelle). Parlano tutti i big: da Roberto Fico a Luigi Di Maio (e anche Alessandro Di Battista che dalla Bolivia ricorda il suo addio per motivi politici, non statutari). Ma il garante tace. «Questo silenzio ci sta uccidendo», si lascia andare a a tarda sera un parlamentare che spera in una rapida conclusione. Di sicuro a Grillo non sta bene di essere marginalizzato o peggio ancora di dare l’impressione di essersi arreso su tutta la linea contiana. E c’è chi sottolinea: «I punti di divergenza non erano nemmeno così eclatanti come ha fatto sembrare Conte». Un modo forse per accorciare le distanze tra i due. E in fondo quello che appare sempre più chiaro è quanto il fondatore tenga al suo ruolo (inalterato) di garante. E forse il punto di caduta di questo braccio di ferro potrà essere proprio lì, in qualche posizione più addolcita. Di sicuro, però, nessuno aveva mai sfidato Grillo così nel Movimento. E tra i Cinque Stelle da sempre vige una regola non scritta: «Chi si mette contro Beppe perde». Ora bisognerà capire se il garante raccoglierà il guanto di sfida o se deciderà che il matrimonio con Conte per i Cinque Stelle non s’ ha da fare».