Primi risultati del vertice scozzese. Usa e Ue guidano oltre 100 Nazioni e si impegnano: meno 30 per cento del consumo di gas entro la fine del decennio. All’accordo contro le deforestazioni hanno aderito anche Pechino e Brasilia. La cronaca di Luigi Ippolito per il Corriere della Sera.
«Sono cautamente ottimista»: così Boris Johnson ha riassunto lo stato delle cose al termine dei due giorni di vertice dei leader mondiali che ha aperto la Cop26, la conferenza internazionale di Glasgow sul clima. Non bisogna «esagerare con l’entusiasmo», ha ammonito il premier britannico, perché «c’è ancora molta strada da fare» e bisogna «restare in guardia contro le false speranze»: ma nella conferenza stampa prima del ritorno a Londra Boris ha cercato in qualche modo di dissipare le nubi che si erano accumulate su Glasgow. E abbandonandosi alla metafora calcistica, ha concluso che se prima «perdevamo 5 a 1» nella partita contro il cambiamento climatico, adesso «abbiamo segnato uno o due gol e forse riusciamo ad andare ai supplementari». Qualche ragione Johnson ce l’ha: ieri è stato annunciato un importante accordo per fermare le deforestazioni entro il 2030, un’intesa cui hanno aderito anche Paesi come Brasile e Cina; e più di 100 nazioni hanno promesso di ridurre del 30% le emissioni di metano entro la fine di questo decennio. Sul primo punto, che copre l’85% delle foreste del pianeta, c’è anche un impegno di quasi 18 miliardi di euro di fondi pubblici e privati per recuperare le foreste danneggiate. Ma forse ancora più importante è l’intesa sul metano: è stata firmata da 103 Paesi e include metà dei maggiori 30 emettitori (anche se non ci sono Cina, India e Russia, che sono fra i primi cinque). L’intesa è stata particolarmente voluta dagli Stati Uniti ed è stata esaltata da Joe Biden, che ha affermato che «taglierà la metà delle emissioni di metano nel mondo». Il presidente americano ha fatto un riferimento indiretto a Greta, lodando «la passione dei giovani e degli attivisti, che ci rammentano i nostri obblighi verso le generazioni future». Ma ha poi lanciato un attacco al leader cinese Xi Jinping, rinfacciandogli il «grave errore» di non essere venuto a Glasgow: «È una questione enorme e se ne sono andati: come possono rivendicare il mantello della leadership?». Biden ha tuttavia concluso anche lui su una nota di ottimismo: a Glasgow i leader «hanno premuto il bottone del riavvio». Insomma, nei corridoi si comincia a dire che questa Cop potrebbe essere un successo. D’altra parte c’era da aspettarsi che prima Boris suonasse le campane a morto, come aveva fatto al termine del G20 a Roma, per poi attribuirsi il merito di aver portato la conferenza di Glasgow a un traguardo insperato. Fin dall’inizio si era detto che sarebbe stato difficile raggiungere alla Cop un accordo che impegnasse tutti i Paesi a ridurre le emissioni nocive in tempi ragionevoli: e infatti Cina e India sono arrivate alla conferenza dicendo che per loro il traguardo delle emissioni zero non può essere raggiunto prima del 2060 e 2070, rispettivamente. Per cui si puntava piuttosto a una serie di intese di settore, in grado di far dire che qualcosa di importante è stato ottenuto: ed è quello che puntualmente si sta verificando. I prossimi giorni ne daranno la conferma.».
Il Presidente Usa Biden attacca quello cinese Xi. Lo spiega Anna Lombardi per Repubblica.
«Gli ambientalisti di mezzo mondo già esultano definendolo ” The Methane Moment”: il momento del metano. Perché il Global Methane Pledge, il patto a trazione americana ed europea fortemente voluto da Joe Biden e Ursula von der Leyen per tagliarne collettivamente le emissioni di un terzo (già lanciato a settembre con l’impegno di 24 Paesi – Italia compresa) alla Cop26 di Glasgow ha incassato in un solo giorno il sì di 104 nazioni. Anche se alla lunga lista mancano Cina, Russia e India, principali emettitori, i Paesi aderenti rappresentano il 70 per cento del Pil globale e sono pronti a sobbarcarsi l’importante impegno entro il 2030 con l’obiettivo di ridurre di 0,2 gradi la temperatura entro il 2050. Se raggiunto, sarà un risultato cruciale per il futuro del Pianeta. «Ciò che facciamo in questo decennio impatterà la nostra capacità di rispettare l’impegno a lungo termine per contenere il surriscaldamento sotto la soglia di 1,5 gradi. E noi siamo pronti a dare l’esempio», ha detto ieri il presidente Biden, per poi criticare i grandi assenti dalla Cop26, Pechino in primis: «Il fatto che Cina, Russia e Arabia Saudita non siano rappresentate al massimo livello è un problema. Noi siamo venuti e in questo modo abbiamo avuto un profondo impatto sul modo in cui il resto del mondo guarda agli Usa. Credo francamente che Xi Jinping abbia fatto un grosso errore a non venire, anche al G20. Ora il resto del mondo li guarda e si chiede quale valore aggiunto stiano dando». Biden ha dunque annunciato di voler inasprire in patria le misure contro le perdite di metano dai pozzi di petrolio e di gas, ripristinando le norme già esistenti in tal senso ma cancellate da Donald Trump, e anche ampliandole. «Con l’Agenzia per la protezione ambientale sorveglieremo le perdite di metano nei gasdotti e negli oleodotti. Il Dipartimento dei Trasporti si occuperà invece di ridurre le perdite nei gasdotti naturali». Certo, in America è responsabile di appena il 10 per cento dell’inquinamento prodotto. Ma focalizzarsi sulle emissioni di metano è una scelta strategica: è considerato nel breve periodo 86 volte più potente della CO2 come gas a effetto serra, secondo maggior responsabile del surriscaldamento. Ma resiste nell’atmosfera solo un ventesimo (12 anni) dell’anidride carbonica e dunque ridurne le emissioni porterebbe a risultati più veloci. Utilizzando tecnologie già esistenti, capaci di identificare gli sprechi, non è solo possibile ma pure facile e relativamente economico. «Dobbiamo farlo per il clima, per la salute, per l’approvvigionamento alimentare e per rilanciare le economie» insiste Biden. Certo, i dubbi non mancano: gli Stati non hanno sottoscritto obiettivi individuali per raggiungere l’impegno collettivo del 30 per cento. Biden, però, ha già dichiarato di voler tagliare le sue emissioni del 50 per cento entro il 2030 (per arrivare a zero nel 2050). E l’Ue proporrà entro dicembre nuove norme. «Limiteremo il venting, il rilascio diretto di gas naturale nell’atmosfera, e il flaring, la combustione controllata», promette Von der Leyen. Usa e Ue s’ impegnano ad affrontare presto pure le emissioni di metano legate all’agricoltura (responsabile del 40 per cento della dispersione): «Lanceremo presto una nuova iniziativa» afferma Biden. «Le fattorie saranno l’ennesima opportunità di creare nuovi posti di lavoro».
Al summit scozzese arriva il messaggio del Papa letto dal segretario di Stato Parolin. «Insieme» per un cambiamento d’epoca: bisogna pagare i debiti ecologici. Lucia Capuzzi per Avvenire.
«La parola chiave è «insieme». Lo è stata per affrontare la prima pandemia dell’era globale. E lo è ora per far fronte alla minaccia numero uno – in termini di gravità, accanto al Covid – che grava sull’umanità: il cambiamento climatico. «Insieme» vuol dire azioni «collegiali, solidali e lungimiranti». Ma vuol dire pure farsi carico delle proprie responsabilità e pagare il debito ecologico contratto dalle potenze industriali del Nord del mondo negli ultimi due secoli e mezzo nei confronti dell’emisfero Sud. La maratona di due giorni di interventi di oltre 120 leader mondiali alla 26esima Conferenza delle parti della Convenzione quadro Onu sul cambiamento climatico (Cop26), si è conclusa con un appassionato messaggio di papa Francesco, letto con tono fermo e pacato dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, che ha guidato la delegazione della Santa Sede a Glasgow. Gli obiettivi del summit sono «ambiziosi, ma indifferibili. Oggi queste decisioni spettano a voi», afferma il Pontefice. La posta in gioco è alta. Altissima. E non sono sufficienti ‘ritocchi’ di facciata. Occorre un «un cambiamento d’epoca» adeguato alla «sfida di civiltà» in atto. Ciò richiede l’impegno di tutti, a cominciare – in particolare, scrive il Papa – dai «Paesi con maggiori capacità », chiamati ad assumere un ruolo guida nella «finanza climatica», nella «decarbonizzazione », nella «promozione di un’economia circolare», e nel sostegno alle nazioni più vulnerabili nella risposta e nell’adattamento. A questo proposito, il Pontefice della Laudato si riprende uno dei temi già contenuti nell’Enciclica, quello del «debito ecologico», «connesso sia a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ambientale, sia all’uso sproporzionato delle risorse naturali del proprio e di altri Paesi. Non possiamo negarlo». A tal fine, chiedendo ai leader «speranza» e «coraggio», il Papa suggerisce «l’avvio di attente procedure negoziate di condono del debito estero associate a una strutturazione economica più sostenibile e giusta, volto a sostenere l’emergenza climatica. È «necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere il debito [ecologico] limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile». Uno sviluppo a cui, finalmente, possano partecipare tutti». (…) Giovani sono presenti all’interno del centro congresso nella speranza di sensibilizzare i negoziatori. Altri sono fuori dai cancelli in una sorta di presidio permanente più simile a una grande festa popolare che a una protesta, con tanto di giochi di ruolo, balli e canti. Di diverso tenore – per quanto non violenta – la manifestazione degli Extinction rebels che hanno bloccato varie strade di Glasgow. Espresso in varie forme, il messaggio è il medesimo: i ragazzi non sono disposti ad accontentarsi di nuovi «bla bla bla». Il loro soft power può essere determinante. Lo ha riconosciuto lo stesso Joe Biden. «La generazione di mia nipote ha cambiato le cose », ha detto, dopo aver definito un «grosso errore» la scelta del presidente cinese di disertare il vertice. Il momento è cruciale, come dimostra il grido lanciato dal presidente di Palau, Surangel Whipps Jr: «Meglio bombardarci che farci morire lentamente».
Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha presentato il progetto della «Global Energy Alliance for People and Planet» che coinvolge anche finanziamenti privati. E torna a parlare di energia nucleare di ultima generazione come energia alternativa. Alessandro Barbera da Glasgow per La Stampa.
«È oggettivamente impossibile uscire subito dal gas». Né vanno fermate «la ricerca e lo sviluppo per il nucleare». Roberto Cingolani si aggira per gli stand della conferenza sul clima senza fermarsi mai. Incontra i pochi giornalisti italiani a Glasgow per presentare un progetto nato da un’idea della Fondazione Rockfeller, sulla quale ha convinto Mario Draghi a mettere il cappello. Si chiama «Global Energy Alliance for People and Planet», e promette di essere uno dei più grossi esperimenti di partnership fra pubblico e privato sul clima. Il governo ci metterà una cifra simbolica – dieci milioni di euro – i soldi veri arriveranno dalle istituzioni private e multilaterali. Ci sono fra le altre la Banca mondiale – a cui Draghi aveva chiesto di «fare di più» – la Fondazione Rockfeller, quella di Ikea, il Besoz Earth Fund. In queste ore – garantisce il ministro della Transizione ecologica a margine del vertice – «si stanno aggiungendo una decina di Paesi europei». Una di queste è la Cdc inglese, una sorta di cugina della Cassa depositi e prestiti, che sempre ieri ha lanciato una propria iniziativa da tre miliardi di sterline. La cifra della conferenza sul clima di Glasgow sta tutta qui: dopo anni di tentativi andati a vuoto per ottenere impegni da parte degli Stati, la finanza privata ha abbracciato fino in fondo la transizione energetica. È un’occasione, reputazionale e di business. Secondo le stime di Cingolani l’Alleanza garantirà dieci miliardi di euro per investimenti che nel gergo dei tecnici si definirebbero «a leva», ovvero il volano finanziario per una cifra molto più alta, «fino a cento miliardi». Più o meno con lo stesso approccio, la Finanziaria per il 2022 ha stanziato altri 840 milioni che verranno gestiti da Cassa depositi e prestiti. Cingolani spiega che l’Alleanza non ha ancora deciso come muoversi, ma che è importante sia partita. «Presto avrà un comitato promotore che ne discuterà. Posso dire quel che io penso vada fatto: concentrarsi su sei, massimo sette grandi progetti». Poi fa un esempio: «In Italia se un’isola ha bisogno di rafforzare la sua rete elettrica, non ha difficoltà a farlo. Ci sono varie zone del Pianeta dove far arrivare l’energia significa realizzare comunità capaci di funzionare senza l’ausilio di reti». Cingolani è al terzo tempo della sua carriera professionale. Prima nanotecnologo, poi creatore dell’Istituto italiano di tecnologia, ora ministro. Del politico non ha né l’indole né le cautele. Racconta dei giovani coinvolti nella «Youth For Climate», dei «messaggi che mi scambio con molti di loro su WhatsApp» e dei 3-4 milioni di euro che il governo intende stanziare per rendere quel forum permanente. «Anche io da giovane ho protestato. Ma il mio obiettivo è far sì che quella protesta si trasformi in proposta». La sua proposta è chiara. Il sogno di un mondo decarbonizzato gli piace ma per arrivarci ora non si può fare a meno né del gas, né del nucleare. Il dibattito a livello europeo è apertissimo. A Berlino sta per nascere un governo deciso a chiudere tutte le vecchie centrali, ma in Europa sono in pochi a voler mettere quella tecnologia nel cassetto. Il governo Draghi ha una posizione cauta ma non preconcetta. Dice Cingolani: «Sul nucleare dico di aspettare» le valutazioni della Commissione europea, «poi gli stati prenderanno le loro decisioni», tenendo conto delle nuove tecnologie come i mini-reattori «perché dalla ricerca possono uscire soluzioni inaspettate». Entro novembre la Commissione Von der Leyen deve decidere se il nucleare vada considerata o meno un’energia rinnovabile. In un documento non ufficiale spedito a Bruxelles e diffuso ieri dall’Ansa, Parigi propone di introdurre tetti alle emissioni e la possibilità di pianificare impianti nucleari fino al 2030, puntando nel frattempo sulla tecnologia verde».