Si chiamava Emanuele Renzi, aveva 34 anni, era un padre, un collega, un amico, una persona. Non era un numero. Non uno dei tanti che stiamo sentendo in questi giorni. Aveva un volto. Quello di un ragazzo sorridente, barbuto, robusto, in perfetta salute e giocava a basket.
Emanuele, come in molti, aveva sottovalutato la situazione. Il 6, 7 e 8 marzo era stato in viaggio in Spagna, a Barcellona. Al suo ritorno ha avvertito dei sintomi leggeri, ma li ha trascurati. Il 9 marzo si è recato a lavoro, poi, secondo quanto dichiarato dall’azienda per la quale lavora, sono iniziati i sintomi influenzali e la tosse.
Lunedì 16 marzo, le sue condizioni si aggravano. Emanuele viene ricoverato nel reparto di Terapia Intensiva del Policlinico di Torvergata, per un’infezione, poi nella notte tra sabato 21 e domenica 22 marzo, è sopraggiunto il decesso.
“Ė arrivato in condizioni già critiche – afferma il primario del reparto – è giusto che si sappia, che si può morire anche da giovani”. Emanuele lascia un figlio piccolo, la famiglia, gli amici e l’intera azienda nello sconforto.
Nella giornata di ieri, è arrivato il messaggio di cordoglio del Sindaco della città di Cave (RM) Angelo Lupi, si cui il ragazzo era originario:
“Apprendiamo, con profondo dolore, della notizia della scomparsa del nostro giovane concittadino Emanuele, residente a Roma, colpito dal Covid 19. A nome di tutta la Città di Cave, siamo vicini ai familiari a cui si esprime sentito cordoglio”.
Il ragazzo non aveva patologie pregresse. In queste ore, presso l’Istituto Nazionale Malattie Infettive, Lazzaro Spallanzani, sarà svolto l’esame autoptico per chiarire ed accertare le cause della morte, nonchè un sopralluogo da parte dei servizi di prevenzione dell’Asl Roma 2 presso il call center dove il ragazzo lavorava. Si attende la prima relazione sull’indagine epidemiologica.
“L’ho visto un mese fa, intorno al 20 febbraio – afferma un collega del ragazzo – stava benissimo, abbiamo chiacchierato per una mezz’oretta. Era in piena forma, nel pieno delle sue forze“. Al suo rientro, Emanuele ha raccontato ai suoi colleghi del viaggio, seconda la struttura sanitaria, è proprio lì che ha contratto il Virus Covid-19.
Ora 3 dei suoi colleghi, che lavoravano più a stretto contatto con lui, sono a casa con i sintomi del Coronavirus.
Le condizioni di lavoro
Il 34enne, lavorava in un noto call center di Roma, la Youtility center, come call center in bound, un’azienda nella quale lavorano 4000 persone. “Se non avessimo appreso del tragico decesso non ci avrebbero comunicato nulla” affermano i lavoratori ai quali fino alla settimana scorsa è stato intimato dai dirigenti di recarsi a lavoro, “tranquillizzandoli” che fosse “tutto normale” e che ci fosse la distanza di sicurezza di un metro. Dunque, l’Azienda non ha provveduto ad avvisare tutti i dipendenti, non predisponendo la messa in quarantena, così come previsto dai protocolli di sicurezza emanati dalle autorità competenti dall’inizio dell’emergenza.
A seguito dei fatti verificatisi, da lunedì 23 Febbraio, l’azienda di via Faustiniana n.28, Roma, ha disposto la chiusura. Le dichiarazioni dell’azienda e quelle dei lavoratori risultano però, discordanti. Secondo numerose testimonianze, Emanuele, si sarebbe infatti recato a lavoro anche oltre il 9 marzo, fino all’acuirsi dei sintomi. Questa mattina i Cobas del lavoro privato hanno denunciato il Gruppo Distribuzione. Sembrerebbe infatti che l’azienda si sia mossa con enorme ritardo riguardo l’adozione dei protocolli di sicurezza e che lo abbia fatto solo dopo l’intervento delle Forze dell’Ordine, avvenuto in più riprese.
Ora i dipendenti chiedono di essere messi a conoscenza di quale sia il numero totale e le generalità dei dipendenti infetti, delle società operanti nelle due sedi (Roma e Frascati) in modo da poter tutelare tutti i colleghi che siano entrati in contatto con loro.