A proposito di garantismo e giustizialismo, è ancora durissimo lo scontro sulla riforma della giustizia penale, che va approvata entro l’estate. Almeno nelle intenzioni di Draghi. Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera.
«La riforma della giustizia penale dev’essere approvata dalla Camera prima della chiusura estiva, se possibile entro luglio. Cioè la prossima settimana. Lo ha chiesto il premier Mario Draghi e lo hanno ribadito ieri il Partito democratico e la Lega. Intanto però la scadenza per la discussione in Aula fissata per domani è saltata, come certificato ieri in commissione Giustizia. Tuttavia non può (non potrebbe) saltare il sì di Montecitorio prima delle ferie, e a questo punto sembra inevitabile il voto di fiducia. Ma su quale testo il governo deciderà di mettere in gioco il proprio destino? Quale può essere il nuovo compromesso sulla prescrizione in grado di superare le critiche alla proposta della Guardasigilli Marta Cartabia approvata appena due settimane fa dal Consiglio dei ministri? L’ipotesi più accreditata è di alzare il tetto per i processi d’appello (prima della dichiarazione di improcedibilità) a tre anni per tutti i reati (eventualmente a quattro per i più gravi) e a un anno e mezzo in Cassazione. Tutto questo almeno fino al 2024, quando si potranno cominciare a vedere gli effetti degli altri interventi previsti per agevolare il compito dei giudici e accelerare i tempi dei processi: dall’ingresso di nuovo personale alla digitalizzazione, alle altre norme che dovrebbero avere un effetto deflattivo sui giudizi di secondo e terzo grado. È un’apertura verso i Cinque Stelle sponsorizzata dal Pd, sulla quale Lega, Forza Italia, Azione e Italia viva potrebbero essere d’accordo. Così loro potranno continuare a dire di avere cancellato la riforma Bonafede (prescrizione abolita dopo la sentenza di primo grado e stop) mentre i grillini potranno sostenere di avere ottenuto un ulteriore miglioramento a una modifica indigesta (sebbene approvata dai propri ministri). In ogni caso – a prescindere da quale sarà il risultato – la trattativa è in corso tra Montecitorio e Palazzo Chigi; perché la partita è diventata politica più che tecnica, e dunque deve giocarsi nel luogo più accreditati per la sintesi politica. Del resto la ministra della Giustizia il suo lavoro l’ha già fatto, e certo non è contraria a fornire un nuovo contributo per altri punti d’incontro. Ma quella che per vedere la luce ha bisogno di ulteriori modifiche non è la «riforma Cartabia», bensì la riforma del governo. Frutto, semmai, di una «mediazione Cartabia», che ha dovuto tenere conto delle richieste e dei veti di ogni partito. Un esempio: nella proposta originaria della ministra, il conteggio dei due anni concessi per celebrare il processo di secondo grado cominciava dalla prima udienza, mentre le forze di centrodestra più Azione e renziani hanno voluto che si anticipasse la decorrenza dalla presentazione dell’atto d’appello. Ma quasi ovunque passano mesi tra quel momento e l’arrivo del fascicolo in corte d’appello; in alcune città – come Roma o Napoli – anche anni. Il che significa improcedibilità certa, come ribadito dall’Associazione magistrati. Di qui la necessità di compensare quella concessione ai «garantisti» con tempi più realistici per la celebrazione. Ancora ieri, alla Camera, Cartabia ha difeso le ragioni delle modifiche alla riforma Bonafede. Non per rivendicare la prescrizione dei procedimenti, che è sempre «una sconfitta dello Stato», ma perché non si può dimenticare «il diritto costituzionale alla ragionevole durata del processo», e l’improcedibilità è soltanto «l’estremo rimedio per la sua salvaguardia». A chi paventa i rischi per i processi di mafia (sull’onda dell’allarme lanciato dal procuratore di Catanzaro Gratteri e dal procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho) la ministra ha risposto che spesso in quei casi sono previsti reati da ergastolo che restano imprescrittibili, ma i Cinque Stelle ribattono: tutti i processi per mafia, anche quelli dove non sono contestati omicidi, devono arrivare a conclusione. Sembra la rivendicazione di un ulteriore «doppio binario» per i tempi di prescrizione, che però troverebbe ostacoli nella parte destra della maggioranza. E così si torna alla mediazione, da incastrare con i tempi. Preso atto di buon grado dello slittamento («il rinvio può essere una opportunità per migliorare la condivisione delle forze politiche»), il presidente grillino della commissione Giustizia, Mario Perantoni, chiederà un nuovo calendario al presidente della Camera Fico, e la questione di fiducia passerà dal ministro dei rapporti con il Parlamento D’Incà. Tutti esponenti dei Cinque stelle. L’incastro delle date per rispettare la scadenza fissata da Draghi passa da loro».