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DDL ZAN. LA PAROLA A PAROLIN

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Dopo l’intervento di Draghi alle Camere, interviene il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin e lo fa con un’intervista ad Andrea Tornielli per Vatican News. Ecco come riporta il contenuto Gianni Cardinale sull’ Avvenire.

«La Nota verbale vaticana sul ddl Zan consegnata giovedì scorso all’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede non è una richiesta di fermare la legge contro l’omotransfobia né una indebita pressione sul lavoro del Parlamento italiano, ma vuole essere la segnalazione – attraverso gli usuali canali diplomatici – di alcune preoccupazioni riguardanti l’interpretazione di alcuni passaggi del disegno di legge. Lo puntualizza il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin in una intervista ai media vaticani realizzata da Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione. Lo stesso porporato poi, a margine del Festival dell’Ecologia integrale in corso a Montefiascone, ha risposto così a chi gli chiedeva se il Papa fosse al corrente del passo diplomatico: «Il principio è che di tutto quello che si fa si informano sempre i superiori». Quindi ha osservato, ancora riguardo alla Nota: «Non ci sono stati altri interventi in questo senso ma mi pare importante, perché è un Patto in cui le due parti si impegnano a mettere in esecuzione quello che è stato preso come impegno comune. Quindi ci sembrava anche una cosa abbastanza normale potere dire che su questo tema c’è un accordo, quindi possiamo anche esprimere una nostra preoccupazione». Del resto, nell’intervista ai media vaticani, Parolin conferma di aver «approvato» la Nota Verbale essendo ben conscio che «potevano esserci reazioni». «Si trattava, però, rimarca – di un documento interno, scambiato tra amministrazioni governative per via diplomatica» e «non certo per essere pubblicato». «Innanzitutto – argomenta il cardinale Segretario di Stato – vorrei precisare che non è stato in alcun modo chiesto di bloccare la legge. Siamo contro qualsiasi atteggiamento o gesto di intolleranza o di odio verso le persone a motivo del loro orientamento sessuale, come pure della loro appartenenza etnica o del loro credo». «La nostra preoccupazione – aggiunge – riguarda i problemi interpretativi che potrebbero derivare nel caso fosse adottato un testo con contenuti vaghi e incerti, che finirebbe per spostare al momento giudiziario la definizione di ciò che è reato e ciò che non lo è». Senza però «dare al giudice i parametri necessari per distinguere». Infatti «il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago». E «in assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate, finché si è in tempo». Per Parolin l’intervento è stato ‘preventivo’ per fare presenti «i problemi prima che sia troppo tardi». Ma «non è stata un’ingerenza». Il porporato concorda «pienamente con il Presidente Draghi sulla laicità dello Stato e sulla sovranità del Parlamento italiano». Al tempo stesso ha apprezzato «il richiamo» fatto dal premier «al rispetto dei principi costituzionali e agli impegni internazionali». E «in questo ambito vige un principio fondamentale, quello per cui pacta sunt servanda». Parolin spiega che «il tema concordatario non era stato considerato in modo esplicito nel dibattito sulla legge». E la Nota verbale «ha voluto richiamare l’attenzione su questo punto, che non può essere dimenticato». Senza contare che «il tema della libertà di opinione non riguarda soltanto i cattolici, ma tutte le persone, toccando quello che il Concilio Vaticano II definisce come il ‘sacrario’ della coscienza». Infine Parolin fa cenno alle due dichiarazioni della Cei sul tema e al fatto che Avvenire «ha seguito con molta attenzione il dibattito». E ricorda che la Cei, «con la quale c’è piena continuità di vedute e di azione, non ha chiesto di bloccare la legge, ma ha suggerito delle modifiche». Così «anche la Nota verbale, si conclude con la richiesta di una diversa ‘modulazione’ del testo». Perché «discutere è sempre lecito».

Già, ma la politica come risponde? Letta sposa la linea Cirinnà, nessun confronto, né dialogo. Sul Ddl Zan il segretario del Pd vuole andare diritto alla conta in Aula: il testo non si tocca. Valerio Valentini per Il Foglio:

«Ai suoi parlamentari che gli chiedevano lumi, Matteo Renzi l’ha messa giù in modo allusivo: “Non vorrei che il gioco del Nazareno fosse diventato proprio quello di affossarlo, il ddl Zan”. Malignità, forse. Che però colgono un cambio di strategia che nella mente di Enrico Letta è reale: “Perché questa è una legge di civiltà e non una bandiera. Per cui – dice – no, non si cambia. Al dunque, ognuno si assumerà le sue responsabilità”. L’obiettivo, insomma, è far vedere che l’azzardo della conta in Aula Letta non lo teme: e se l’incognita del voto segreto porterà ad azzoppare il ddl Zan, il segretario del Pd sa già come reagirà. Dicendo, cioè, che si è dimostrato una volta di più che Italia viva sta con la destra. Per questo giorni fa, di fronte ai primi mugugni di un manipolo dei suoi senatori, Letta ha chiesto la chiamata alle armi, con tanto di parallelismo storico. “Perché mi ricordo bene quando, da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, mi ritrovai a condurre, su mandato di Romano Prodi, la trattativa coi gruppi parlamentari per l’approvazione dei Dico. E l’affossa – mento di quel provvedimento – ha spiegato l’ex premier – ha segnato l’inizio della fine dell’unione, perché le forze democratiche e progressiste non si dimostrarono all’altezza del cambiamento dei tempi”. Per cui non si molla di un centimetro: “Il ddl Zan va approvato così com’ è”. Solo che, così com’ è, rischia davvero di non passare. Non alla prova del voto del 6 luglio: quando in commissione Giustizia si deciderà se mandare il testo all’esame dell’aula. Il problema scatterà subito dopo: quando l’assemblea di Palazzo Madama sarà chiamata a esprimersi su almeno una ventina di emendamenti – ma potrebbero lievitare – su cui pende l’imponderabilità del voto segreto. E qui sta l’anomalia: perché la strategia di Letta, quella di andare allo scontro finale, è la stessa del manovratore principe della Lega, quel Roberto Calderoli che ha infatti già dato mandato ai suoi di non opporsi alla calendarizzazione del disegno di legge. “Li attendiamo in Aula”, se la ride sornione. Sa, evidentemente, che nel fronte della vecchia maggioranza del Bisconte, i potenziali franchi tiratori sono parecchi. “Almeno otto tra i nostri diciassette”, è il bollettino che fa chi ha parlato col capogruppo di Iv Davide Faraone. Ma non stanno solo lì, quelli tentati dallo strappo. Perché in effetti anche nel Pd si parla di almeno sei o sette dubbiosi. E certo, i sospetti del Nazareno gravitano tutti intorno ad Andrea Marcucci, perennemente accusato d’intendenza col nemico di Rignano. Anche se lui, almeno per ora, scuote la testa: “Io chiedo solo di non forzare le tappe, e di cercare un accordo politico che non consegni a Salvini la possibilità di calciare un rigore a porta vuota”. Ché questo sarebbe l’equivalente del voto segreto per il leader della Lega. E forse Marcucci non la dice tutta, la sua verità. Ma è pur vero che, al di là del tatticismo più cinico, vero o presunto, di chi punta a fare uno sgarbo a Letta, ci sono poi preoccupazioni sincere. Di esponenti cattolici dei dem, come Mino Taricco e Assuntela Messina, che le loro perplessità sul ddl Zan le hanno espresse pubblicamente coi loro colleghi. E perfino di femministe come Valeria Valente, che però mette le mani avanti: “Non nego che avrei preferito un sovrappiù di confronto e di mediazione, ma se ora siamo a questo punto, tra l’avere un ddl che non mi convince fino in fondo e il vederlo affossare, preferisco la prima ipotesi”. La verità è che in effetti Letta al momento non ha altra strada che quella della prova di forza. Un po’ perché un ripensamento ora, fatto a seguito della reprimenda Vaticana, apparirebbe come un cedimento. E un po’ perché sa che, dopo l’intervento della Santa Sede, Salvini non avrà alcun interesse, adesso, a trattare su possibili correzioni, ma s’ intesterà semmai la posizione dell’ala della Chiesa che si riconosce nelle posizioni più conservatrici di Camillo Ruini. A meno che, per una strana eterogenesi dei fini, l’eccessivo clamore prodotto dalla nota verbale emanata da Oltretevere non produca, come sperano molti nel Pd, uno scantonamento da parte dello stesso Francesco. E ieri, le dichiarazioni del segretario di stato Parolin, per il quale la nota non andava pubblicizzata, hanno rafforzato questa convinzione dalle parti del Nazareno. “Ma per noi il ddl Zan non cambia”, insiste Letta. Che spera magari nel sostegno dei cespugli degli ex grillini del Misto e in quello di chi, come Matteo Richetti ed Emma Bonino, potrebbe forse compensare le defezioni interne. Sempre che poi il M5s tenga. Quando ieri alcuni senatori del Pd hanno provato a intercettare il capogruppo grillino Ettore Licheri, per avere da lui un riscontro, lui ha allargato le braccia: “Abbiamo problemi maggiori, ora”. La riunione con Beppe Grillo stava per incominciare».

Carlo Galli su Repubblica rimprovera ai cattolici di non avere acceso un dibattito sul merito della legge, lasciando al Vaticano lo spazio di obiezioni “tecniche” al Ddl Zan in approvazione.

«Il cardinale Parolin e Mario Draghi concordano dunque sul fatto che “l’Italia è uno Stato laico”. C’è da esserne soddisfatti, perché si evita un conflitto di cui non si sente il bisogno – sono più che sufficienti i problemi che il Paese ha già davanti a sé – . Si rende chiaro, così, che da parte del vertice politico italiano non c’è una ostentazione di laicismo o di anticlericalismo – non sono più i tempi, da più di un secolo – , e non c’è neppure una sottovalutazione dell’interlocutore, un atteggiamento di sprezzante sufficienza. C’è semmai un’affermazione esistenziale, relativa al modo di esistere di uno Stato che trae da sé, e non da altri, le proprie ragioni e i propri orientamenti – che è capace di decidere da sé che cosa è costituzionale e che cosa non lo è – . Di uno Stato che è aperto, dialogante, inclusivo, che non si pone come superbo vertice delle cose umane; ma che al tempo stesso non si presta – proprio non può – a essere il braccio secolare, lo strumento di poteri che non siano passati attraverso le procedure e le elaborazioni del processo politico democratico. Che, come il Vaticano, siano esterni alle sue istituzioni, anche se il cattolicesimo è ben interno alla sua storia e alla sua società. (…) La Chiesa – lo ha confermato ieri il cardinale Parolin – ha preferito una strategia tutta politica, centrata su obiezioni quasi tecniche al disegno di legge in questione (che non chiarirebbe bene che cosa è reato e che cosa non lo è), palesemente invocandone una revisione in itinere (che sarà sicuramente materia di un non facile confronto politico) pur profondendosi in riconoscimenti della laicità dello Stato. Questo ricorso al livello diplomatico è quindi con ogni evidenza, pur intessuto di rispetto e di buona volontà, un mezzo di pressione indiretto, sostitutivo di un aperto confronto culturale; e rivela pertanto, oltre che la consueta abilità, una certa difficoltà, un’attitudine difensiva, da parte del cattolicesimo istituzionale».

Veniamo al fronte interno ecclesiastico. Il Giornale oggi intervista monsignor Paglia, che ieri dalle colonne de La Stampa aveva criticato proprio la mossa della Segreteria di Stato. Oggi quasi smentisce quanto detto contro l’opportunità della Nota.

«L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita ed ex presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, interviene in modo critico sul ddl Zan. (…) Eccellenza, lei ha detto che è stato uno sbaglio la nota del Vaticano. Può spiegare meglio? «Preciso che una giornalista ha estrapolato da un mio articolato intervento una falsa intervista che non ho mai concesso. Ho, ad ogni modo, espresso dei dubbi, come tanti. Sono un vecchio prete romano. Ho pensato, forse sbagliando, che tra le due sponde del Tevere sia sempre esistita una creatività nell’immaginare vie di colloquio e di composizione delle divergenze dalle quali i media dovessero e potessero rimanere fuori. Oggi, purtroppo, la riservatezza non sembra più un valore. Lo sbaglio, a mio avviso, è stato rendere pubblica una Nota che doveva rimanere segreta. Questa era l’intenzione originaria della Santa Sede, qualcuno deve aver pensato diversamente. La pubblicità ha rischiato di far alzare muri ancora più alti. Sono stato frainteso anche io: la Nota ha avuto il prezioso effetto di far luce sulle gravi problematiche di un Decreto che, così come è, è inaccettabile. Non solo dalla Chiesa, direi dalla maggior parte degli italiani».».

Paolo Rodari e Giovanna Vitale di Repubblica sono alla caccia di chi ha voluto lo “scoop” del Corriere, la pubblicazione della Nota verbale che appunto “doveva rimanere segreta”.

«Quando il Segretario di Stato vaticano, ricostruendo la genesi della Nota verbale sul ddl Zan, dice a chiare lettere che sì, nell’approvarla «avevo pensato che potessero esserci reazioni ». E però – eccolo il punto chiave – «si trattava di un documento interno, scambiato tra amministrazioni governative per via diplomatica. Un testo scritto e pensato per comunicare alcune preoccupazioni, non certo per essere pubblicato». Doveva cioè restare riservato. Parole utili a fugare il sospetto che sia stato l’entourage del Papa a voler far emergere il dissidio con Palazzo Chigi per bloccare una legge poco gradita. E tuttavia destinate a suscitare più di un interrogativo, su cui entrambe le sponde del Tevere si stanno in queste ore arrovellando: di chi è la manina che ha fatto uscire un atto coperto da segreto, dalla portata dirompente? Qualcuno ha voluto strumentalizzare l’iniziativa vaticana? E perché? Risposte certe non ce ne sono, ma nei palazzi romani fonti attendibili propongono una trama simile a una spy story. Racconta di continui contatti tra gli ambienti più conservatori della Curia – quelli che hanno pressato la Segreteria di Stato affinché formalizzasse il suo dissenso – e una precisa parte politica, che da tempo coltiva il medesimo obiettivo: affossare il testo contro l’omotransfobia. Prima fra tutte la Lega, che da mesi lo tiene in ostaggio in commissione Giustizia, grazie all’ostruzionismo del salviniano presidente Andrea Ostellari. L’altra figura che, si sussurra, avrebbe favorito la diffusione sarebbe Maria Elisabetta Alberti Casellati. La presidente del Senato avrebbe contribuito alla fuga di notizie in modo che il caso esplodesse col maggior fragore possibile. Intanto in Vaticano l’iniziativa del Segretario di Stato fa tirare un sospiro a molti. «Parolin parla con cognizione di causa», dice un alto prelato, spiegando che tra il cardinale e Francesco nelle ultime ore una consultazione c’è stata. La marcia indietro su Vatican News – sì alla difesa dei princìpi ma senza invasioni di campo – è stata decisa con l’avallo del Papa, il quale sapeva della Nota anche se, c’è chi dice Oltretevere, con ogni probabilità senza essere al corrente fino in fondo delle conseguenze. Di fatto, con le sue parole che riconoscono la legittimità della difesa di Draghi della laicità dello Stato, Parolin svuota di senso lo strumento della Nota e ritorna ad abbracciare la strada di una diplomazia fatta di rapporti coltivati sul campo».

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