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GIORNALISTI E NO VAX

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Per i lettori di Repubblica Michele Serra interviene su Selvaggia Lucarelli aggredita a testate dal manifestante No vax al Circo Massimo, sabato scorso. Serra si chiede: ma perché i giornalisti debbono rischiare l’incolumità? Non è meglio staccare la spina?

«C’è chi rischia la pelle per fare il reporter su un fronte di guerra. Molti giornalisti e fotografi (pagati sempre peggio, tra l’altro) lo fanno. Ma rischiare la propria incolumità per seguire una manifestazione No Vax, ha senso?Me lo sono chiesto dopo l’ennesimo pestaggio di una giornalista (Selvaggia Lucarelli: solidarietà a lei) aggredita da un energumeno in una piazza No Vax. E non è una domanda retorica: è una domanda funzionale, riguarda lo scopo stesso dell’informazione, che è cercare di capire meglio la realtà, i problemi, i conflitti. La guerra si può raccontare. Il suo orribile farsi ha comunque una logica, ragioni economiche, religiose, ideologiche, politiche, tribali armano gli uomini. Mettere a fuoco quelle ragioni serve a capire per quali cause migliaia di persone uccidono e muoiono. Se la guerra è uno dei motori della storia – e purtroppo lo è – bisogna guardarla in faccia. Dunque scapicollarsi in Afghanistan, in Crimea, nel Corno d’Africa, nel Kurdistan, è un rischio che vale la pena correre. Ma andare al Circo Massimo per sentirsi sputare e insultare da alcuni ossessi, e poi colpire al volto da uno di costoro, a che serve? Le frasi urlate sono le stesse ripetute all’infinito sui social, la dittatura sanitaria e bla-bla, le sappiamo già a memoria, niente di utile, di nuovo, di specialmente efferato o specialmente demente può essere aggiunto. Per cogliere che cosa muove nel profondo il fenomeno No Vax, e per dimostrare ascolto e rispetto ai suoi infelici attori, non servono giornalisti, servono psichiatri e psicologi. Un esercito di psichiatri e psicologi. Così almeno la dittatura sanitaria, tanto evocata, avrebbe una sua evidenza».

Stefano Feltri, che è il direttore della Lucarelli, ragiona per i lettori del Domani sul fatto che non si possono ignorare le pulsioni, anche peggiori, dei No Vax:

«Ormai la questione è se le piazze No-vax sono una espressione di un libero dissenso, da tollerare anche e soprattutto perché prive di basi scientifiche e razionali, oppure un pericolo, per i singoli e per la collettività, dunque da arginare o reprimere. Anche gli squinternati hanno diritto a manifestare. Ma quando la somma di bizzarrie individuali diventa una minaccia alla salute pubblica e all’incolumità individuale, qual è il dovere di un governo e quello dei media? La giornalista di Domani Selvaggia Lucarelli è andata nella piazza No-vax di Roma sabato ed è stata aggredita, come era successo ad altri cronisti in altre piazze. Certo, le sue domande non indicavano condivisione delle tesi della piazza, e il solo fatto che indossasse la mascherina la rendeva una aliena in mezzo ai sedicenti campioni della libertà. Ma ciò che sembrava turbare di più i manifestanti era soprattutto lo smartphone con cui Selvaggia li riprendeva. Eppure di solito le persone scendono in piazza per essere viste, filmate, condivise sui social. È come se i No-vax e i no pass avessero sempre bisogno di sentirsi parte di una minoranza oppressa, ma priva di individualità specifica. Ognuno ha la sua storia, nella quale però non trova sufficienti appigli per renderla generale: per questo ha bisogno di qualche legittimazione esterna – tipo Massimo Cacciari in tv – che validi la sua sensazione di sentirsi ostaggio di un sistema che solo pochi coraggiosi osano denunciare. Si arriva così a uno stallo: se il giornalista va a documentare la piazza No-vax, questa si evolve e diventa aggressiva, perché reagisce al corpo estraneo; se i media ignorano i cortei, come successo a lungo con quelli del sabato a Milano, cementano la convinzione dei manifestanti di essere imbavagliati e oscurati. Se il governo impone le vaccinazioni, offre nuovi argomenti a chi denuncia la dittatura sanitaria; se sceglie compromessi, come il green pass sia per i vaccini che per i tamponi, scatena la rabbia di chi ne contesta l’ipocrisia burocratica. Ora che la quarta ondata minaccia l’Europa, adottare restrizioni conferma il sospetto (infondato) dei No-vax che i vaccini fossero poco efficaci, rinviarle per timore delle reazioni negative delle minoranze esagitate contribuisce a peggiorare il problema e a cementare la percezione (errata) che con o senza vaccini i rischi sono gli stessi. Uscire da questo stallo, dopo quasi due anni di tensioni sociali e frustrazioni individuali, è molto difficile perché la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e delle istituzioni nei cittadini si sta logorando. Un piccolo contributo può arrivare dai media e in particolare dalla televisione: i No-vax e i no pass hanno il diritto di esprimersi in piazza, sui social, dove credono, ma chi parla a milioni di persone ha il dovere di non mettere tutto sullo stesso piano, il professore e l’esaltato, il filosofo e il medico, il giornalista complottardo e l’epidemiologo. Così come il governo ha il dovere di non trattare allo stesso modo i partecipanti alle manifestazioni rabbiose e chi da quelle piazze è spaventato. Da come gestiamo la degenerazione del mondo No-vax dipende molto di quale democrazia vogliamo costruire per il dopo Covid».

Maurizio Crippa sul Foglio ha le idee chiare: meglio il silenzio.

«Sempre grati saremo al professor Aldo Grasso che ci insegnò cosa fosse un paratesto ( ha sempre un po’ l’aria del paraculo), cioè quel tipo di stampa che non serve da informazione né da critica, ma a far da contorno allo show e ne vive di luce e vendite riflesse. La differenza tra i Cahiers du cinéma e Sorrisi& Canzoni. Oggi più che la tv vanno forte il web e i social, ma la funzione di paratesto si è soltanto evoluta. Così come si sono evoluti la politica- spettacolo e il giornalismo, che appunto le fa da lucroso paratesto. Per fare un esempio. Gli urlatori No vax, rissosi e persino maneschi, sono una schifezza. Ma lo sappiamo da due anni, e da mesi bravi cronisti ne hanno documentate le gesta: esercizio utile per capire. Ma ora il bisogno di andare a infilare la mano nella gabbia del leone, nella speranza che morda, a che serve? Che tipo di giornalismo è, precisamente? Scopo del giornalista è raccontare, non farsi tirare uno schiaffo o uno sputo affinché si compia la sublimazione: da ricercatore della notizia a notizia in prima persona. Soprattutto quando a praticare questa cronaca d’avventura siano professionisti che hanno ritorno, delle loro gesta, nell’informazione online: la cuggina dei social. E’ un acconciarsi a far da paratesto, il sacrificio del reporter è un’altra cosa».

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