Accantonato il Green pass a scuola e sui mezzi per qualche giorno, è invece la giustizia a tenere banco fra i partiti di governo. Fra oggi e domani si potrebbe già arrivare ad un punto di caduta. Liana Milella su Repubblica.
«L’impasse politica sulla riforma della giustizia si scioglie. La Lega apre alla richiesta di M5S sulla mafia, ma chiede che non vadano al macero anche i processi per violenza sessuale e traffico di droga gestito dalle cosche. Salvini dice sì a Draghi. Giulia Bongiorno ufficializza l’apertura. Poi confermata dallo stesso Salvini che usa le sue stesse parole. E ai maligni che subito pensano all’accusa di stupro per il figlio di Grillo, visto che lei è l’avvocato della ragazza violentata, si ribatte che quel reato è dell’estate 2019, quindi fuori dalle future regole. Ma sono proprio le norme scritte ancora assenti a bloccare per un’intera giornata la commissione Giustizia della Camera che dovrebbe licenziare il testo in vista del passaggio in aula di domani. Ieri sera, intorno alle 19, la stessa ministra della Giustizia Marta Cartabia era pronta ad andare a Montecitorio. Poi, la mancanza di una norma già pronta, l’ha fermata. Anche se il relatore dei Dem Franco Vazio ha detto che «il momento della sintesi è vicino». Vicino sì, ma non ancora messo nero su bianco. E “carta canta” per citare Di Pietro. E senza carta M5S, pur soddisfatto perché la richiesta del suo presidente Giuseppe Conte è passata, si ferma. Mario Perantoni, il presidente grillino della commissione, rinvia tutto a oggi. Ma promette che si andrà avanti. Sempre che Forza Italia, sconfitta sull’abuso d’ufficio e sulla norma ad personam per il suo leader Berlusconi, non continui a bussare alla porta di Draghi protestando per non aver incassato nulla. Ma Draghi fa sapere che il premier «è attento alle istanze di tutti». Per questo, febbrilmente, tra via Arenula e Chigi ieri sera i tecnici erano ancora al lavoro. Mentre, dopo aver parlato col premier, anche il segretario del Pd Enrico Letta era pronto ad assicurare la sua volontà di «cercare soluzioni di mediazione con gli altri partiti». Del resto, come non ascoltare, quanto dice il presidente Sergio Mattarella? «Le riforme devono diventare realtà» dice «e non si può fallire ». Vanno bene «la mediazione e l’ascolto», ma poi «bisogna rispettare gli impegni» se di mezzo c’è il Recovery. È la fotografia della riforma della giustizia. Sulla quale fonti attendibili della commissione assicuravano ieri sera che oggi il testo può essere chiuso. E quindi potrà andare in aula senza ricorrere a complicati maxi emendamenti che metterebbero a dura prova i regolamenti molto rigidi della Camera. È certo che la fiducia ci sarà. Chiesta già venerdì sera dopo la discussione generale. M5S la voterà? Conte è soddisfatto? Mentre i suoi cercavano di capire effettivamente quali saranno le modifiche, lui ieri sera ripeteva che «quella sulla giustizia non è una nostra battaglia, ma dell’Italia per bene, dell’Italia che vuole contrastare efficacemente le mafie, il terrorismo, la corruzione. Che vuole processi più veloci, ma non accetta che finiscano al macero, lasciando mortificate le vittime del reato e disorientati i cittadini». Parole non dissimili da quelle di Giulia Bongiorno che garantisce «il massimo impegno della Lega per evitare che, a causa delle disfunzioni della macchina giudiziaria, vadano in fumo processi per reati gravi». Ma quale sarà l’artificio giuridico per salvarli? Le strade possono essere due. Inserire questi reati tra quelli da ergastolo, quindi imprescrittibili e improcedibili, il “fine processo mai” insomma. Oppure prevedere – e questa sarebbe la richiesta del Pd – un tempo più lungo, ma non infinito, e soprattutto un’entrata in vigore della riforma dilatata nel tempo. Certo è che, a spulciare le proposte sul tema, via Arenula scopre che il primo modello era già contenuto in un ddl del 2004 firmato da Giuseppe Ayala, Elvio Fassone, Massimo Brutti e Guido Calvi. Nomi che non hanno bisogno di una presentazione. Quanto alle donne che protestano via Arenula garantisce che nessun reato contro di loro rientrerà tra quelli che possono fruire delle regole soft previste dalla cosiddetta “tenuità del fatto”».
A proposito della riforma, Avvenire ha intervistato David Ermini, vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura.
«David Ermini: nel parere oggi in plenum indicazioni per evitare anomalie. «È vero, nel parere della sesta commissione sulla riforma penale, su cui oggi il plenum voterà, ci sono tre o quattro valutazioni critiche rispetto al testo in discussione alla Camera, ma lo sono in senso costruttivo…». Seduto nel suo ufficio a Palazzo dei Marescialli, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, sceglie con cura i termini da adoperare. «Il parere ci è stato richiesto dal ministro. E abbiamo fatto di tutto per discuterlo prima che il disegno di legge vada in Aula, per dare un contributo costruttivo al dibattito parlamentare – puntualizza -. Ecco, quello del Csm intende essere un contributo non emotivo, ma ragionato, sulle criticità della riforma, nel rispetto delle prerogative del Parlamento». Lei condivide il rischio, segnalato dalla sesta commissione, di «drammatiche ricadute pratiche» del combinato prescrizione-improcedibilità sul lavoro delle Corti d’appello? «Ritengo che possano esserci importanti ricadute pratiche. E i dati contenuti nel parere lo confermano». Il ‘rallentamento’ sul parere chiesto dal presidente Mattarella vi è servito per ulteriori valutazioni? «Inizialmente il parere era centrato sulla prescrizione, diventata negli anni una tela di Penelope: prima la riforma Orlando, poi la controriforma Bonafede, ora la proposta Cartabia. La prescrizione, è bene tenerlo a mente, è una patologia del sistema: per contrastarla non servono solo paletti di legge, ma tante altre misure e risorse, come l’assunzione di più magistrati e funzionari nei tribunali. Ciò detto, giustamente il presidente della Repubblica ha chiesto di esaminare la riforma penale nel suo insieme. E difatti ci sono altri punti delicati, penso ad esempio alla possibilità che il Parlamento dia criteri generale di priorità nell’azione delle procure… » Intanto, alcuni partiti raccolgono firme per i referendum sulla separazione delle carriere e su altri nodi. Cosa ne pensa? «È uno strumento previsto dalla nostra Costituzione. Ma abroga, non propone. Meglio il lavoro organico del Parlamento, se rapido ed efficace». Pensa che nel maxi emendamento del governo ci saranno correzioni di sostanza? «Non so se ci sarà un accordo nelle prossime ore o nella prossima settimana. Ma sono speranzoso, confido che le forze politiche riescano a trovare un punto d’incontro. Ognuno deve rinunciare a mettere bandierine: non è solo un problema di percepire i fondi europei del Recovery plan, ma di garantire ai cittadini un ‘servizio giustizia’ migliore, con processi più celeri, pene alternative per carceri meno affollate… » C’è un arretrato di milioni di cause che opprime tribunali e Cassazione. Fra cui spiccano i 115mila ricorsi pendenti dei richiedenti asilo, denunciati dal nostro quotidiano. È possibile rivedere le tabelle dei posti nelle sezioni immigrazione, al momento non adeguate? «Conosciamo il problema, al quale il Consiglio riserva da tempo attenzione. La materia costituisce oggi una sfida fondamentale per la giurisdizione civile». Torniamo alla riforma penale. Cosa suggerite? «Spetta al legislatore individuare le misure da proporre. Noi ci limitiamo a rendere pareri che possano contribuire a far funzionare la macchina del processo, evitando anomalie. L’altro parere, quello sulla giustizia civile, invece slitterà a settembre». Perché? «Vedendo che il Senato non se ne occuperà adesso, abbiamo deciso di rinviare anche noi, per questioni tecniche, in modo da esaminare con attenzione la relazione e gli emendamenti collegati». Veniamo alla riforma del Csm. È sempre più urgente, no? «Non si può più rinviare. Questa consiliatura scadrà l’anno prossimo ed è necessario eleggere il nuovo Csm con nuove regole, cambiando sistema». Quando scoppiò il caso Palamara, sui rapporti fra correnti delle toghe e politica, in molti chiesero lo scioglimento dell’attuale Csm. Ma lei non fu d’accordo. Perché? «Non aveva senso. Si sarebbe rivotato con gli stessi meccanismi un Csm diverso forse nei componenti, ma espressione del medesimo sistema». Sono passati due anni, come avete cercato di cambiare? «Lo choc è stato forte, con le dimissioni di diversi consiglieri. Ma ha permesso al Csm e alla magistratura di diventare consapevoli della necessità di un cambiamento. Al Parlamento dico: fatela, questa benedetta riforma. Non è solo questione di correnti, il problema è il carrierismo, ossia quando si usano certi rapporti per raggiungere incarichi». C’è chi fa notare come la sua nomina, da esponente del Pd eletto come ‘laico’ e poi vicepresidente, sia figlia di intese fra toghe e politica. «Lo è stata perché la Costituzione così prevede. Il vicepresidente, membro non togato, viene espresso da una votazione del Consiglio, a seguito di una convergenza tra componente laica e togata». Il suo mandato scadrà l’anno prossimo. Quale Csm lascia a chi le succederà? «Spero che sia un Consiglio riformato in meglio. Francamente, in questi tre anni non è stata facile. Prima il caso Palamara, le chat e le intercettazioni; quindi la vicenda Amara… Ringrazio il presidente Mattarella, che non ha mai fatto mancare il suo appoggio, con una fermezza e un senso istituzionale che sono d’esempio». Presto il caso Palamara e altre vicende andranno a processo. Che aspettative ha? I processi andranno come dovranno andare e non sarò io a commentarne l’esito. Basteranno riforme e sentenze per recuperare la fiducia dei cittadini nella magistratura? «Le riforme sono importanti. Al contempo, è necessario che i 9 mila magistrati non siano autorefenziali, ma attenti alle esigenze della società. E che dimostrino sempre di essere autonomi e indipendenti».
Giuseppe Conte ha riunito i 5 Stelle per ragionare sulla riforma della giustizia. La cronaca di Emanuele Buzzi sul Corriere.
«Bocche cucite, tensione altissima e molta preoccupazione. È l’ora di cena quando Giuseppe Conte convoca via zoom la cabina di regia sulla giustizia dopo una giornata frenetica di trattative. Il leader del Movimento sceglie di avere accanto a sé i ministri, i capigruppo e gli esperti di Giustizia della Camera per un confronto secco. Vuole unità e condivisione, perché sa che in gioco c’è il futuro dei Cinque Stelle, a partire dal voto di fiducia al governo. Si mette in prima linea Conte. Ribadisce il concetto anche ai suoi: «Siamo compatti e saremo coerenti fino alla fine». E spiega: «Non è una nostra battaglia. È una battaglia dell’Italia perbene. Dell’Italia che vuole contrastare efficacemente le mafie, il terrorismo, la corruzione. Che vuole processi più veloci, una giustizia più equa ed efficiente, ma che non accetta che i processi finiscano al macero, lasciando mortificate le vittime del reato e disorientati i cittadini». La trattativa nel pomeriggio subisce una battuta d’arresto, si aggroviglia. Le pressioni del centrodestra complicano un percorso già abbastanza tortuoso. Con il passare delle ore gli umori nel Movimento diventano più cupi. «Gli spazi per trovare un’intesa si stanno restringendo», ammette un pentastellato. Si cerca di trovare un punto di caduta che faccia leva anche su un senso «istituzionale» della riforma. In serata si registra un’apertura dei Cinque Stelle a evitare la prescrizione non solo ai reati di mafia, ma anche a quelli di violenza sessuale e traffico di droga: la trattativa rimane in piedi. Spiragli, dopo una giornata lunghissima. Conte è già intervenuto in tarda mattina, dopo aver incontrato ancora i parlamentari. «Sulla giustizia continuiamo ad attendere che si realizzi l’esito di questo confronto. Adesso ci sono anche i pareri del Csm e verranno discussi dal plenum. È un ulteriore contributo tecnico che ci serve per mettere a fuoco le criticità». Parla anche della norma che delega al Parlamento l’individuazione dei reati da perseguire nell’attività dell’azione penale. «Ritengo anche quella una norma critica – sottolinea l’ex premier, che gestisce in prima persona la trattativa con Mario Draghi -. Per carità in altri ordinamenti indirizzi del genere sono anche previsti, però quando caliamo nel nostro conosciamo i rapporti difficili del passato tra politica e magistratura. Ritengo che quella norma sia critica, è bene lasciare e realizzare appieno il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e gli interventi del Parlamento possono essere molto molto critici e delicati». Gli interventi del nuovo leader dividono i Cinque Stelle. C’è chi teme un compromesso al ribasso sulla riforma («Conte sembra pronto ad accogliere qualunque tipo di mediazione»), altri invece sottolineano come Conte stia cercando di essere inclusivo coinvolgendo i parlamentari in questa fase. Di sicuro l’avvocato tesse le fila, cerca di ridare un’agenda al Movimento (non a caso parlando con i cronisti rispolvera le norme sul conflitto di interessi). I parlamentari già martedì gli presentano il conto di mesi di stallo, soprattutto con richieste legate ai territori, alle amministrative d’autunno e al fatto che il M5S rischia di rimanere al palo in diversi comuni. «Siamo soddisfatti del confronto», dicono alcuni. La tenuta dei gruppi è il primo test interno per l’ex premier, il prossimo e più importante è il varo dello statuto. Se l’esito appare più che scontato, è incerta invece la partecipazione della base pentastellata, provata da mesi di battaglie interne e dalle vicende parlamentari che hanno toccato i Cinque Stelle. Ecco perché il quorum dei votanti sarà uno scoglio da tenere in considerazione. Ecco perché ieri il futuro presidente M5S ha rilanciato le nuove stelle del Movimento e la carta dei valori: una tappa di (ri)avvicinamento agli attivisti in vista del voto della prossima settimana. A febbraio, in seconda convocazione, i votanti furono poco più di 10 mila».