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lunedì 11 Novembre 2024 - 12:16
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GREEN PASS, IL GOVERNO FARÀ UN DECRETO

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Non solo la Francia, ma tutta l’Europa ha già messo in atto il green pass. E d’altra parte singole regioni italiane, come la Sicilia e la Sardegna, hanno preso o stanno prendendo misure di questo tipo per i visitatori. La salita dei contagi continua e il nostro Governo pensa ad un decreto, da varare già la prossima settimana. La cronaca di Sarzanini e Guerzoni sul Corriere.

«Sarà un decreto a rendere obbligatorio il green pass per entrare in tutti i luoghi dove possono crearsi affollamenti. Oggi, dopo aver analizzato i dati del monitoraggio settimanale sull’andamento della curva epidemiologica, il governo metterà a punto le linee del provvedimento da discutere nella cabina di regia che sarà convocata martedì prossimo. All’interno della maggioranza il dibattito è aperto sulla lista delle attività per le quali sarà indispensabile avere la certificazione per dimostrare di essere vaccinati, oppure essere guariti, oppure avere un tampone negativo nelle 48 ore precedenti. Ma la scelta è fatta e sarà operativa entro la fine di luglio, più probabilmente già la prossima settimana. A preoccupare è la risalita dei contagi – ieri 2.455 i nuovi casi, solo 9 i decessi – ma soprattutto il tasso di positività tornato a 1,3% a causa della variante Delta. In attesa dei nuovi parametri per la classificazione delle aree a rischio alcune Regioni – la Sicilia ha già provveduto – decidono di blindarsi con ordinanze che impongono tamponi a chi arriva dall’estero. Una situazione che rende pressoché scontata la proroga dello stato di emergenza, in scadenza al 31 luglio, per almeno due o tre mesi. «Guardiamo con preoccupazione a quello che accade nel Regno Unito e in Spagna, per questo bisogna accelerare», ripete nelle riunioni ristrette il ministro della Salute Roberto Speranza che trova l’appoggio della collega degli Affari Regionali Mariastella Gelmini. Il leader della Lega Matteo Salvini continua frenare: «Ne parleremo se e quando ce ne sarà la necessità. Adesso chiediamo attenzione e rispetto delle regole, però non possiamo terrorizzare la gente prima del tempo. Quindi se ce ne sarà la necessità, vedremo se investire in sicurezza». I parlamentari del Movimento 5 Stelle chiedono invece di considerarlo «la soluzione solo in caso di un sensibile aumento dei contagi, allo scopo di evitare una nuova stagione di chiusure e restrizioni», ma ritengono «imprescindibile introdurre anche la gratuità dei tamponi». A fare la sintesi delle diverse posizioni sarà il presidente del Consiglio Mario Draghi, poi il Consiglio dei ministri approverà il decreto. Ovunque ci sia un affollamento il green pass sarà obbligatorio. E ciò renderà possibile far entrare un maggior numero di persone negli stadi, ai concerti, nelle sale degli spettacoli addirittura raggiungendo la capienza del 100 per cento. «Carta verde» indispensabile anche per partecipare a eventi pubblici e convegni. E confermata per i banchetti che seguono le cerimonie civili o religiose. In questo caso i controlli non possono essere affidati, almeno per il momento, ai gestori dei locali ma sono possibili verifiche da parte delle forze dell’ordine e per chi non dimostrerà di essere in regola scatterà la contravvenzione. Bisognerà avere la certificazione per viaggiare sui treni a lunga percorrenza e in aereo, anche se gli apparecchi sono dotati del sistema di areazione verticale, mentre non è prevista la stessa misura per il trasporto pubblico. Se non sarà trovata una soluzione su autobus e metropolitane rimarranno dunque le attuali regole e la capienza dovrà essere limitata, per garantire il distanziamento di almeno un metro tra i passeggeri. Sarà il confronto all’interno della cabina di regia del governo a sciogliere il nodo sull’obbligo di green pass per i ristoranti al chiuso. Sembra però evidente che, di fronte a una risalita di contagi tale da far rischiare le chiusure previste per le zone arancioni o rosse, si sceglierà di far entrare in vigore la regola proprio per garantire alle attività di continuare a lavorare».

Giovanna Vitale intervista per Repubblica la ministra di Forza Italia Mara Carfagna.

«Ministra Carfagna nella maggioranza c’è chi tifa per il Green Pass alla Macron e chi lo avversa. Lei da che parte sta? «Io credo che sia lo strumento più adatto ai tempi eccezionali che stiamo vivendo. È l’opposto di una camicia di forza: nasce a tutela dei cittadini e delle imprese per liberare tutte quelle attività che la pandemia ha vietato o limitato, e per ripristinare l’esercizio dei diritti in sicurezza. Penso ai concerti di piazza, ai festival estivi, ai raduni, alle gare sportive. Tutte cose che si potrebbe tornare a fare senza rischi, incentivando tra l’altro i giovani a vaccinarsi». Non è dittatura sanitaria, come qualcuno denuncia? «Il dittatore è il virus, non chi lavora per contrastarlo. È il virus che ci ha chiuso in casa per oltre un anno, ci ha impedito la socialità, ha impoverito milioni di famiglie. Dire no a misure di vigilanza e contenimento significa rischiare una quarta ondata. L’esperienza dell’estate scorsa dovrebbe averci insegnato qualcosa. Nessuno può permettersi un altro stop and go». In Francia serve il certificato verde anche per trasporti pubblici e ristoranti, in Italia dovremmo esportare lo stesso modello? «Io starei attenta a replicare schemi importati dall’estero. Penso che da noi sia difficile utilizzarlo per trasporti pubblici, bar e ristoranti, dove fra l’altro le misure a tutela della salute pubblica sono sempre state rispettate. Mentre sarebbe opportuno per grandi eventi, viaggi aerei o discoteche, dove il pericolo di assembramento è alto». Si va dunque verso una “via italiana” al Green Pass come propone la ministra Gelmini? «Mi pare che sia una soluzione ragionevole. E anche praticabile. Inutile imporre qualcosa che poi è difficile far rispettare».

Margherita De Bac, firma scientifica del Corriere, è andata a vedere chi oggi incrementa i numeri delle statistiche di contagi e decessi per Covid19.

«Non lo dicono soltanto i numeri. Che in ospedale in questi giorni finiscano con superiorità schiacciante coloro che non si sono vaccinati, o che lo hanno fatto a metà in attesa della seconda dose, lo raccontano i medici dei reparti. Da Nord a Sud, è così in tutta Italia. Sono sovrapponibili in termini di dettagli gli identikit di questi no-vax. Esiste uno «zoccolo duro» di contrari che continuano a rifiutare i preparati anti-Covid. Per un’ostilità di fondo, paura, mancanza di fiducia e il sospetto «che dietro ci siano interessi» cui non vogliono piegarsi. I vaccinologi li chiamano «esitanti». Ma qui c’è qualcosa di più dell’esitazione. Si intercetta un moto di chiusura impermeabile. Matteo Bassetti, capo infettivologo del San Martino, centro di riferimento della provincia di Genova, fa il diario degli ultimi giorni: «Dal primo maggio a oggi, abbiamo avuto 6 morti per Covid, 5 dei quali non immunizzati, il sesto aveva appena ricevuto la prima iniezione e probabilmente il giorno stesso si è infettato, il massimo della sfortuna». Ecco un paio di storie dal San Martino. Settantancique anni, sposato con una donna convintamente no vax che lo ha allontanato dal concetto della prevenzione, a salvaguardia di se stessi e della collettività. Poi un 72enne: «Se ne è andato in 5 giorni. Quando è arrivato gli ho chiesto perché non avesse aderito a un invito che lo avrebbe salvato. Mi ha guardato con occhi colmi di rassegnazione», dice Bassetti ricordando il paziente. Lui però non è rassegnato ad accettare i no vax: «Il virus c’è e continua a far molto male, a volte anche ai giovani». I dati dell’Istituto superiore di sanità supportano il vissuto dei sanitari. Nel periodo tra 21 giugno e 4 luglio, sono stati ricoverati in ospedale 941 pazienti: 80 i completamente coperti da doppia dose, 89 quelli arrivati a metà percorso, gli altri non vaccinati. In terapia intensiva le differenze sono ancora più evidenti. Sempre nello stesso periodo di due settimane hanno avuto bisogno di queste cure 94 persone: 4 erano «attrezzate» al completo (e 3 avevano oltre 80 anni), 10 avevano fatto metà ciclo, gli altri tutti «scoperti». Occorre ricordarlo: l’efficacia dei composti anti Covid è di circa il 90%. Molto alta, ma non totale. Francesco Menichetti, malattie infettive azienda ospedaliera-universitaria di Pisa, in questi giorni ha visto in reparto due nuovi contagiati, ambedue non vaccinati. «Le loro motivazioni? Il Covid è finito, a che serve mettersi in corpo della roba… Oppure: non sono anziano e anche se mi prendo il virus non rischio di morire. Noi siamo preoccupati perché i positivi si moltiplicano. Il sistema sanitario attualmente non ha pressioni. Speriamo che questa fotografia estiva non cambi». A Napoli, le storie si ripetono quasi uguali. Ivan Gentile, infettivologia Federico II, racconta: «Abbiamo due no vax in gravi condizioni, con polmonite severa, uno è in terapia intensiva, intubato. Poche ore fa se ne è andato un uomo di 86 anni. Non si sentiva in pericolo. Diceva che bastava si vaccinassero i familiari per stare al sicuro. Vedeva poche persone e credeva di essere in isolamento. Ha preso il virus dal nipote. La morale: nessuno, pur non uscendo di casa e limitando i contatti all’essenziale, può sentirsi in una botte di ferro. Basta la badante che gli porta la spesa per contagiarlo». Gentile non vede differenze tra il Covid delle ondate precedenti e questo, molto spesso legato alla variante Delta: «Il malato ha un peggioramento rapidissimo. Da moderata, la polmonite diventa all’improvviso aggressiva». Francesco Dentali, responsabile di medicina interna a Varese e presidente Fadoi (Federazione delle associazioni dirigenti ospedalieri internista) è ancora scosso dal ricordo dell’esperienza tragica con la pandemia nei primi mesi del 2020. «Oggi i ricoverati sono 12, il 90% non vaccinati o parzialmente. Il più grave – racconta – ha 50 anni, straniero residente in Italia, tutti positivi in famiglia, tutti suscettibili al Sars-CoV-2. Se lo sono passato tra loro. Adesso la situazione è facilmente gestibile, ogni giorno però assistiamo a una lieve risalita di ricoveri. L’esempio dell’Inghilterra deve essere un monito».

Il Foglio con Marianna Rizzini intervista Roberto Maroni della Lega sulle tentazioni No Vax che hanno assalito Salvini, dopo la svolta filo-negazionista della Meloni. Sul green pass il Capitano sta facendo “un errore”.

«”Un errore, purtroppo è un errore”. Lo dice Roberto Maroni, che la Lega la conosce bene ( da ex ministro, ex governatore ed ex segretario federale), a proposito del Matteo Salvini che su vaccini e green pass fa il timido, per non dire il freddo, forse per tenere buona la parte di elettorato no vax o dubbiosa. “Penso che sull’estensione del green pass abbia ragione il presidente francese Emmanuel Macron, e anche i governatori italiani che si sono espressi a favore della linea Macron, come Giovanni Toti”, dice Maroni. E sottolinea, l’ex ministro e governatore, che il contenimento del contagio e la tutela della salute non contrasterebbero, in quel modo, con la ripresa di attività e socialità: “Non ci vedo nulla di male, è una misura di sicurezza ragionevole, visti i contagi e vista la necessità di evitare una quarta ondata, avendo ora gli strumenti per farlo”.».

LA REGOLA DEL TRE G: O TESTATO, O VACCINATO O GUARITO

Avvenire pubblica un interessante reportage dal Centro Europa. La prassi europea è semplice: nessun obbligo vaccinale ma chi non è vaccinato, se non è negativo o guarito, ha poche possibilità di andare in giro.

«Vaccino o test?». Marie, maschera dell’Opera di Stato di Monaco di Baviera, accoglie con il sorriso chi entra a teatro. Accompagna lo spettatore a uno dei tavoli nel foyer, chiede il biglietto, controlla il documento d’identità. E poi domanda qual è lo “status” anti-Covid. Si dimentica però di presentare una terza opzione: «Guarito?». Ma va beh… Perché non si può assistere a uno spettacolo lirico o a un concerto se non si dimostra di avere almeno uno dei tre requisiti che, secondo il governo bavarese, permettono di riprendere le attività pubbliche e fanno da barriera alla pandemia: la vaccinazione, un tampone negativo o la malattia superata. L’Italia scopre dalle dichiarazioni di Macron quello che nei Paesi di lingua tedesca è una prassi ormai da settimane. Non si può frequentare un locale o partecipare a un evento senza avere un lasciapassare contro il coronavirus. In Austria le hanno ribattezzate le «tre G di sicurezza» che si leggono agli ingressi di bar, ristoranti, hotel o teatri. Stanno per tre participi passati: geimpft, getestet, genesen, appunto vaccinato, testato, guarito. Compaiono ovunque, ha stabilito il ministero della Salute. E valgono non solo per stare all’interno di una struttura ma anche nei cortili o nei dehors lungo i marciapiedi. Sarà anche vero, come ha detto di recente la cancelleria tedesca Angela Merkel, che i vaccini non sono obbligatori, ma diventa un supplizio avere una vita sociale senza la vaccinazione di fronte a regole così stringenti. E la via imboccata nella Mitteleuropa si trasforma in un pressing indiretto a favore della profilassi. Così in Austria il 43% della popolazione ha completato la vaccinazione, mentre in Germania si sfiora il 45%. «Buongiorno, quale G ha?», interroga gentilmente l’addetta della pasticceria Demel, una delle più rinomate e antiche di Vienna, da vanti all’Hofburg, un tempo residenza imperiale e oggi palazzo del presidente della Repubblica. Nessuno fa problemi di privacy. In vari Land della Germania, fra cui la Baviera, il check-in all’albergo include la dimostrazione di essere un turista “Covid-free”. E, una volta mostrata la certificazione, occorre firmare un’autodichiarazione in cui si attesta che quanto esibito alla reception è autentico: pena multe e processi in tribunale. (…) Poi c’è il tracciamento costante. Appena seduti al tavolo, sia esso di un bistrot o di un ristorante, il cameriere si avvicina e indica il Qr code sulla tovaglia. «Per cortesia, può riempire il modulo?», è l’invito. Nome, cognome, telefono, e-mail. Quindi l’indicazione: i dati resteranno memorizzati per trenta giorni nel server in caso di focolai. E in aeroporto? Zero controlli quando si atterra o si parte da Linate o Malpensa, i due scali di Milano. A Vienna (ma anche in Germania) appena si scende dal velivolo, ecco il checkpoint della polizia che verifica la vaccinazione o il tampone. E un controllo analogo avviene a ogni gate prima di imbarcarsi: altrimenti si resta a terra. Nel Bel Paese è tutta un’altra storia (a maniche larghe)».

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