Il Fatto dedica il titolo di prima pagina ad una uscita di Giuseppe Conte: «Grillo non mi vuole più capo? Mi ritiro». Ma in realtà a leggere l’articolo di Luca De Carolis, meno pessimista del solito, potrebbe essere imminente un accordo con l’Elevato. Conte non vuole fare un suo partito suo, ha già parlato al telefono con Grillo, lo aspetta a Roma.
«In Senato aveva programmato da giorni un incontro con la candidata giallorosa in Calabria, Maria Antonietta Ventura. Ma Giuseppe Conte ha “colto l’occasione” per incontrare anche i senatori dei 5 Stelle, divisi per commissione, e per confrontarsi con loro sulla faticosa gestazione del nuovo Movimento, che – dopo il divorzio da Davide Casaleggio – ora sta cercando la strada della convivenza pacifica con l’ingombrante fondatore in partenza da Genova. Ha voluto giocare d’anticipo, l’ex premier aspirante capo: perché oggi, a Roma, arriverà, Beppe Grillo per incontrare tutti gli eletti M5S. Ha scelto di venire di persona, non di scrivere un post sul blog. E se l’incontro “in presenza”, da una parte, garantisce di essere meno tranchant di qualunque messaggio dato in pasto alla Rete, dall’altro – per il leader in pectore – sarebbe stato un rischio troppo alto lasciare solo a lui la possibilità, di “arringare” i gruppi sulle novità, dello Statuto. Perché va bene che i rapporti sono “cordiali” e che “nessuna guerra è in corso” – come ha ripetuto ieri Conte ai senatori -ma è pur sempre un rapporto impari quello che vede contrapposti lui, arrivato al vertice del Movimento soltanto tre anni fa, e “Beppe” che di fatto è colui che tutti devono sempre ringraziare se stanno dove stanno. Il richiamo della foresta, insomma, Conte ha provato a fermarlo sul nascere, anche incontrando un ristretto gruppo di deputati, ieri sera. E ha chiarito per prima cosa a tutti che non ha intenzione di mettere in piedi liste, che non ha nessun partito nel cassetto, consapevole che la “minaccia” che era circolata nei giorni scorsi poteva finire solo per irritare gli eletti che stanno aspettando il suo arrivo. “Il mio progetto è qui – ha spiegato a Palazzo Madama – non ci penso proprio a fare altro: ma io sono venuto per cambiare e il garante deve essere convinto, altrimenti faccio un passo indietro”. E cambiamento significa, nello specifico, rivedere il rapporto tra capo politico e garante, ovvero tra lui e Grillo. Una convivenza “senza accavallamenti”, ha spiegato, “altrimenti non potrei accettare”. Torna a ventilare il passo indietro, l’ex premier, per chiarire a tutti qual è la posta in gioco. “È necessaria una separazione delle filiere – è il senso del suo ragionamento – Al capo politico spetta la titolarità, della linea politica, il garante sarà, invece il custode dei valori”. Tutti, nel Movimento, sono consapevoli che il “totem” di Grillo non si possa toccare e che sia necessario preservare “una collocazione che lo rappresenti”: “È la nostra storia – ripetono – Giuseppe deve capirlo”. Ma è lo stesso Conte, raccontano, ad avere ben chiaro il concetto. Al punto che, nel nuovo statuto, sarebbe mantenuto intatto il potere di revoca del capo politico che è attualmente nelle mani del garante. Ma ammette pure che “i desideri sono tanti”, che è un modo per dire che – nella trattativa – Grillo avrebbe alzato la posta un po’ troppo in alto, a partire dai poteri sulla comunicazione che avrebbe voluto avocare a sé. La mediazione, secondo Conte e i suoi fedelissimi, si troverà. Già, ieri, i due si sono sentiti al telefono. Ma molto dipenderà, dai toni del faccia a faccia che “Beppe” avrà, con deputati e senatori oggi pomeriggio. “Se viene, ci vedremo sicuramente”, ha detto l’ex premier: vada come vada, comunque oggi qualcosa si chiude».
Marco Imarisio sul Corriere della Sera cerca di interpretare il conflitto tra i due:
«Il bersaglio del ritrovato attivismo di Grillo è proprio Conte. La battaglia sul nuovo Statuto sarà cruenta, sono in ballo principi fondamentali, ma è solo l’inizio. Nel suo continuo andare e venire dalla politica pesano stati d’animo molto personali. A volte è inutile cercare un filo di razionalità laddove semplicemente ci sono gli umori di un leader che si considera unità di misura del Movimento che lui ha creato. Quel che va bene a lui, va bene al M5S. E il passare del tempo non ha mai scalfito questa sua intima convinzione, così forte da farlo tornare più volte sui propri passi, dopo aver annunciato «il passo di lato», «il ritorno sulle scene», «la vita da Cincinnato». Grillo «sente» il Movimento come se fosse la sua linea d’ombra, come la vita mentre gli sembra di perderla. Più si isola, nell’ultimo caso da tutto, dal dibattito pubblico, dal palcoscenico, sempre di più rinchiuso in casa, più ritorna con rinnovata irruenza. L’ex comico ha la destabilizzazione nel proprio codice genetico. Uno vale uno, ma solo per l’Elevato. Il problema è che adesso sono in due, ed entrambi hanno scoperto la vocazione autoritaria dell’altro. L’investitura di Conte non è stata certo una decisione collegiale. Ha deciso Grillo da solo. Ma l’ex presidente del Consiglio non sembra aver capito cosa significasse quella mano calata dall’alto. Non esistono i pieni poteri, se non per una sola persona. Figurarsi quando l’Elevato ha cominciato a capire che i fini divergevano, e non di poco. L’ex comico identifica la salvaguardia del Movimento nel mantenimento di una linea antisistema, di natura ribellistica. Se il filone giustizialista si è rinsecchito causa l’alleanza del M5S con pressoché l’intero arco parlamentare, non restano che le Cinque stelle, acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo. Ma Grillo si è convinto che Conte sia più interessato a un semplice M5S governista che alla maieutica ecologista. E non può accettare un Movimento personale come era stato bi-personale quello suo e di Casaleggio padre, se svuotato di ogni antagonismo e trasformato in un piedistallo dove appoggiare quella popolarità che i sondaggi ancora consegnano all’ex premier. Alla fine, sullo Statuto si troverà un accordo, perché entrambi i contendenti, che a diverso titolo si sentono in debito con la sorte, avrebbero troppo da perdere da una rottura definitiva. Ma da due debolezze non nasce mai alcuna forza. E neppure un nuovo Movimento con basi solide».
Se Imarisio sembra in qualche modo giustificare Grillo, Gad Lerner, sul Fatto, lo critica in modo deciso:
«È dunque inevitabile che, in procinto di rifondarsi, e dovendo introdurre regole democratiche di vita interna funzionali a una presenza territoriale finora carente, il M5S sia costretto a fare i conti con una figura gerarchica ambigua qual è il Garante. Garante di che cosa? Ho sempre trovato fastidiosa l’ironia con cui Grillo usa autodefinirsi l’Elevato. Sopra chi e che cosa ritiene di elevarsi, tanto da rivendicare un’investitura a vita, come un monarca o un papa, sia pure travestito da giullare? So bene che ai suoi occhi il sottoscritto altro non è che un fantoccio del potere – qualche volta me l’ha scritto – ma è ai suoi sostenitori che oggi Grillo deve una risposta. Lui che ha avuto l’arditezza di definire “grillino” perfino Draghi, confidando su un senso dello humour anch’ esso inevitabilmente datato. Non a caso la questione si pone adesso nel confronto con un leader, Giuseppe Conte, che a suo tempo fu designato nelle segrete stanze, ma che nel frattempo si è conquistato nell’azione pubblica una significativa credibilità. Davvero Conte, una volta ricevuta l’investitura degli iscritti, dovrebbe lasciare a un Garante l’ultima parola sulle scelte fondamentali del MoVimento? Cercando una giustificazione a tale pretesa, ne trovo solo due, per ragioni diverse entrambe inconsistenti. La prima sarebbe la riconoscenza: il fondatore ha meriti storici che non possono essere disconosciuti, limitarsi ad accantonarlo sarebbe irrispettoso. D’accordo, ma da qui a concedergli la titolarità di un potere di veto, ce ne corre. Ancor meno accettabile è l’altra motivazione: quella, cioè, secondo cui in Grillo risiederebbero innate virtù taumaturgiche; impersonerebbe l’anima del MoVimento per il solo fatto di averlo concepito. Qui però ci addentriamo nel campo della superstizione, una sorta di infallibilità sancita per statuto. Roba d’altri tempi. Qualcuno lo dovrà pur dire. Il numero di cittadini italiani che fanno dipenderei loro orientamenti politici da una speciale ammirazione per Beppe Grillo, col passare degli anni, si è naturalmente ridimensionato, proprio come avvenne ai fondatori dei partiti che citavo all’inizio. Votare M5S non equivale più a votare Grillo. Lui per primo dovrebbe compiacersene. Per quanto rimanga indefinito il profilo politico, culturale e sociale di un MoVimento che si immaginò pigliatutto, ma che dall’antipolitica s’ è ritrovato al governo, e che infine ha dovuto scegliere di collocarsi nel centrosinistra, le scelte strategiche con cui Conte è chiamato a misurarsi sono ormai di ben altra natura. Personalmente dubito che il M5S possa ritagliarsi un futuro da forza moderata (“liberale e moderata”, per dirla con Di Maio). Chi siano questi famosi moderati in un Paese, l’Italia, che ha visto prosperare da Berlusconi in poi l’anomala figura degli estremisti di centro, devono ancora spiegarmelo. Da Casini e Alfano, fino a Renzi e Calenda, mi pare che i partiti di centro non riescano a schiodarsi da percentuali esigue. Se invece il potenziale del M5S continuerà a risiedere nella capacità di rappresentare come in passato una protesta radicale e l’aspirazione a cambiamenti strutturali di sistema, non sarà certo più l’icona di Grillo a simboleggiare questo spirito. La sua comunicazione risulta usurata, inevitabilmente. (…) Quanto a Grillo, un grande uomo di teatro sa programmare anche la propria uscita di scena».