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GRILLO STRAPPA CON CONTE

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Beppe Grillo è piombato a Roma ed ha subito fatto capire che non era così scontato il dialogo con Giuseppe Conte su statuto e nuovo Movimento. La cronaca di Matteo Pucciarelli per Repubblica:

«Sempre a metà tra comizio e spettacolo teatrale, ieri Beppe Grillo alla Camera ha salutato i “suoi” deputati con sotto il braccio i 32 fogli della bozza di Statuto a cui ha lavorato Giuseppe Conte, uscendo di scena come di soppiato, furtivamente, tra le risate e gli applausi. Nei due suoi discorsi ai gruppi parlamentari il comico genovese è andato di bastone e carota, anzi più bastone che carota, verso il leader in pectore. Dicendo sì che è «persona straordinaria», un «integerrimo», «voglio rafforzarlo», ma poi aggiungendo che «deve studiare», «deve capire che posso aiutarlo», «non conosce la nostra storia», «non può fare tutto da solo» perché «sono il garante, mica un coglione». Già: l'”Elevato” vuole restare tale, non accetta di non avere l’ultima parola – come il nuovo Statuto tratteggiato dall’ex presidente del Consiglio prevedeva – e così a Conte offre lo show che sa di avvertimento: i parlamentari (ne mancavano parecchi all’appello, va detto) che ancora lo amano, i media che lo inseguono, il peso delle sue sortite che rimane enorme. Una prova di forza, come minimo; un’ «umiliazione » per Conte, per dirla con un parlamentare presente. Il fondatore del M5S ha ricordato che «anche con Gianroberto Casaleggio c’erano diverse vedute, io un po’ più di sinistra, lui un po’ più di destra». Ma la diarchia funzionava e una specie di diarchia, quindi, deve restare. Si racconta che a Grillo non sia andata giù l’indiscrezione – considerata eterodiretta – di un Conte pronto a fare una cosa propria se non fossero rimaste intatte le proprie condizioni organizzative per rilanciare i 5 Stelle. Quindi ecco la risposta: «È lui ad aver bisogno del Movimento, non il contrario». Perché l’ex premier «non è un visionario» e da sempre il M5S ha bisogno di qualcuno che voli un po’ più alto: cioè, neanche tra le righe, Grillo stesso. Ancora: «Il nostro Movimento è fatto di partecipazione democratica, di consigli in rete, gli ho dato il vecchio Statuto e lo ha trasformato in qualcosa di completamente diverso, non una evoluzione ma una roba da avvocati. Ci sono rimasto così, avevo bisogno di tempo. Io sono il garante, sono il custode». Cioè colui che ha creato il M5S, ha girato per anni le piazze e calcato le scene, convinto di detenere ancora il senso stesso di ciò che dovrebbe rappresentare il Movimento. «Il punto è che non accetta di vedere consegnato tutto questo al primo che passa», commenta una deputata. Altre note salienti delle due intemerate del garante: le lodi sperticate al vecchio capo politico Luigi Di Maio («forse il miglior ministro degli Esteri di sempre»); la richiesta di poter ancora intervenire sulle scelte comunicative del M5S («Rocco Casalino è bravo, ma non esiste che io non abbia voce in capitolo, deve consultare anche me»); l’apertura su un superamento parziale del tetto ai due mandati («come sapete sono contrario, ma decideranno gli iscritti»); l’insoddisfazione per il lavoro del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, il cui nome pure era stato “vidimato” proprio da Grillo («se andiamo avanti così è un bagno di sangue»); infine la presentazione del nuovo simbolo, che non è altro che il vecchio con però la dicitura 2050 al posto dell’indirizzo web del Blog delle Stelle, antica creatura di Davide Casaleggio. Ce n’è abbastanza per sconquassare un partito già ampiamente malridotto e a questo punto la palla torna nella metà campo di Conte: sarà disposto a “farsi compensare” da Grillo? E tra i non detti, fra ciò che rimane da concordare, quel quarto di Statuto e relative postille non ancora definite, ad esempio: il Movimento 2.0 continuerà a fornire la completa tutela legale – per quel che riguarda le sue uscite politiche, ovvio – al fondatore? Comunque, «non si prescinde dalla nostra storia», in questo Grillo è stato netto. Una storia cominciata 14 anni fa e della quale Conte non ha fatto parte, se non lateralmente e solo negli ultimi tre anni, non essendo stato mai neanche iscritto ai 5 Stelle».

Ilario Lombardo su La Stampa racconta le reazioni di Conte alle frasi di Grillo, quasi rispondendo alla domanda che si fa Pucciarelli su Repubblica. Ed è una risposta dura.

«E io non farò di certo il prestanome». Quando pronuncia questa frase Giuseppe Conte è sul punto di far collassare l’intero progetto a cui ha lavorato negli ultimi tre mesi. Gli hanno appena girato le agenzie che riportano in presa diretta le frasi pronunciate da Beppe Grillo di fronte all’assemblea dei deputati, dove teorizza la diarchia, dove sminuisce l’apporto dell’ex premier alla storia del M5S. Per tutto il giorno si parlano a distanza, usano parlamentari, ministri, collaboratori. Solo la sera viene fatta trapelare una telefonata diretta tra i due. Tutti nel M5S pregano che serva a ricucire. Ma non è così: ancora alle undici nessuno era in grado di confermare se oggi ci sarà meno il tanto atteso faccia a faccia. Le frasi lasciate filtrare nel pomeriggio dissimulano poco o nulla delle frizioni e suonano colme di ingratitudine alle orecchie di Conte. Soprattutto perché in una il comico sembra respingere l’avvocato come un corpo estraneo, che si aggrappa al M5S per sopravvivere politicamente. «Il Movimento siamo noi – sostiene Grillo – Conte non andava in piazza». Il comico non può non sapere che qualunque cosa dice un attimo dopo sarà nota a tutti. Ma non sembra esserne troppo preoccupato, anche se nel confronto successivo, con i senatori, si sforza di smorzare i toni. Nel frattempo, sono intervenuti i mediatori, per scongiurare la rottura finale: la senatrice Paola Taverna, l’ex braccio destro di Grillo e di Davide Casaleggio Pietro Dettori, il portavoce di Conte Rocco Casalino, l’ex capo politico Luigi Di Maio, il reggente Vito Crimi. Chiedono a Grillo di smussare le pretese e tentano qualche compromesso mentre sull’altro fronte Conte, offeso, sembra già proiettato a sfoderare il piano B di un partito tutto suo, alternativo al M5S. (…) Per l’ex premier la diarchia è impensabile. Né dal punto di vista della gestione della linea politica, né sulla comunicazione, altro argomento sul quale le posizioni sembrano inconciliabili. «Non era quello che ci eravamo detti» si sfoga l’avvocato. «È necessario che si capisca chi fa cosa». Altrimenti, secondo Conte, si riproporrebbe quel caos al quale proprio Grillo gli aveva chiesto di mettere un punto. È un modello che appartiene al passato, che oggi non funzionerebbe. «Non con me» chiude Conte. Perché si manifesterebbe immediatamente un opposto atteggiamento politico: da una parte il guitto anarchico, dall’altra il lavoro quotidiano di articolazione della strategia. L’infelice incidente della visita all’ambasciata cinese, in pieno G7, per Conte è indicativo. L’avvocato si è sfilato all’ultimo e ha lasciato che Grillo andasse da solo. Tra i diversi punti della discordia, infatti, non c’è soltanto la voglia del comico di stabilire le regole della comunicazione, chi debba andare in tv, e come usare i post e il blog dove vengono date le rotte delle scelte politiche. Ma c’è anche la richiesta del comico di essere incaricato del ruolo di rappresentare il M5S a livello internazionale. Una sorta di ambasciatore che nella sua imprevedibilità porterebbe scompiglio nelle cancellerie di tutto il mondo. E che Conte non sarebbe in grado di controllare».

Se esiste ancora la possibilità di un accordo fra Conte e Grillo, l’editoriale di Marco Travaglio sul Fatto di questa mattina sembra tanto un macigno sulla strada del dialogo.

«Ci eravamo quasi riavuti dallo choc per la rivoluzionaria affermazione di Draghi “Lo Stato è laico”e già pregustavamo le successive, tipo “La pioggia è bagnata”, “Il ghiaccio è freddo”, “Per vedere la tv bisogna accenderla”, “All ’Equatore fa decisamente più caldo che al Polo Nord ”, “Meglio una donna giovane e bella che una vecchia racchia”, quando siamo stati folgorati da un’altra frase che definire sorprendente è riduttivo: “Lo statuto di Conte è diverso dal nostro”. L’ha detta ieri Grillo nel suo monologo ai parlamentari 5Stelle, sottolineando non a caso che “io sono un visionario e Conte no”. Solo un visionario, infatti, poteva notare che affidando a Conte il compito di guidare e rifondare i 5Stelle, lo statuto dei 5Stelle sarebbe stato diverso da quelli dei 5Stelle guidati da Grillo e da Di Maio. Se fosse stato ancor più visionario, Grillo l’avrebbe previsto già il 28 febbraio, quando convocò Conte e gli altri big per chiedere al primo di fare il capo politico e di riscrivere lo statuto. Ma evidentemente in quei giorni aveva già esaurito le visioni con Draghi e Cingolani, scambiandoli per grillini della prima ora e mandando il M5S al macello nel governo più restauratore mai visto (a proposito di chi “sa cosa sono i 5Stelle” e di chi se l’è scordato). Ma il sospetto è che in quel caso, più che di visioni, si trattasse di allucinazioni. E che la sindrome persista, almeno a leggere altre perle di saggezza del visionario. Tipo che “è Conte ad avere bisogno di me”. In che senso un affermato avvocato civilista e docente universitario divenuto in tre anni il politico italiano più popolare, il premier che ha affrontato la pandemia e ottenuto il Recovery Fund, quello che ha risolto i casini altrui con Casaleggio, avrebbe bisogno di Grillo, è un concetto che sfugge ai più. Ma qui, più che di visioni, è questione di vocabolario. Cosa intendeva esattamente Grillo quando chiese a Conte di fare il capo politico, visto che ora pretende di decidere al suo posto la linea politica, la segreteria e la comunicazione? Ha presente la differenza tra capo politico e prestanome, portaborse, badante? L’affermazione “non sono un coglione”, detta dall’interessato, vale quel che vale. Ma qualunque capo politico accettasse di farsi dettare la linea politica, la segreteria e la comunicazione da un altro non sarebbe un capo politico: sarebbe un coglione. Come se ne esce? In due soli modi. 1) Gli eletti e gli iscritti ai 5Stelle votano sulla nuova piattaforma (“uno vale uno”) per decidere chi fa il capo e chi fa il coglione. 2)Conte si grillizza per un giorno, manda tutti affanculo e se ne torna a fare l’avvocato e il professore, dopo quattro mesi di volontariato senza stipendio, riconsegnando i 5Stelle a Grillo: è lui che li ha fondati, è giusto che sia lui ad affondarli».

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