Prendendo spunto dal Meeting di Rimini, Paolo Rodari per Repubblica analizza la vicenda del documento pontificio sulla guida di associazioni e movimenti.
«Il Papa è contro i movimenti? Tutt’ altro. Piuttosto è preoccupato per loro, per questo ha deciso di intervenire». Sorride l’alto prelato, interpellato due mesi dopo l’uscita del decreto con il quale Francesco chiede che coloro che guidano movimenti e associazioni riconosciute dalla Chiesa (eccezioni possono riguardare soltanto alcuni fondatori) non stiano in carica per più di dieci anni. «La sua preoccupazione è per gli abusi, di potere e di coscienza soprattutto, che alcune di queste persone, idolatrate da gruppi spesso chiusi a mo’ di setta, hanno commesso su persone loro affidate. Mentre un ricambio nei vertici, come ha spiegato sull’Osservatore Romano il gesuita Ulrich Rhode, apporta grandi benefici alla vitalità dell’associazione stessa, porta ad evitare il crescere dei personalismi: Francesco è questa vitalità che desidera, non altro». Non sono stati pochi coloro che hanno letto l’uscita del decreto dello scorso giugno come una scure lanciata dal Papa contro i movimenti. Dicono che il vescovo di Roma che è cresciuto alla scuola della teologia del pueblo argentina, a differenza dei suoi due ultimi predecessori non ami i carismi. Per questo, ne azzera i vertici esercitando così un controllo più diretto. «Niente di più falso», rispondono in Vaticano. Ciò che combatte, piuttosto, sono gli «integralismi comunitari», il rischio cioè che singole associazioni, pur del tutto diverse fra loro, vivano nella totale autoreferenzialità, senza sapersi aprire agli altri. Bergoglio già a Buenos Aires ha lasciato spazio alle iniziative dei movimenti. Quelle nate dal basso sono state da lui sempre valorizzate. Ha presentato più volte libri di don Giussani, celebrato liturgie con Sant’ Egidio, pregato sulla tomba di Escrivà, favorito gli incontri ecumenici dei Focolarini e, come ha scritto su Vatican Insider Gianni Valente, «ha recitato il “rosario delle rose” nelle parrocchie bonaerensi affidate ai sacerdoti del movimento di Schöenstatt», facendosi vicino anche ad associazioni più piccole ed esigue. «Il dicastero vaticano – conferma a Rimini Bernhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting dell’amicizia fra i popoli – ha emanato un decreto che riguarda più di cento associazioni e movimenti ecclesiali». Mentre per quanto riguarda Cl, il presidente della Fraternità di Cl, Julián Carrón, «ha dichiarato subito dopo la pubblicazione che il movimento “provvederà agli adempimenti richiesti, nei modi e nei tempi stabiliti dal decreto stesso”. Da sempre è stato l’intento di Cl servire la Chiesa e sarà così anche in futuro. Per la stessa ragione il Meeting cercherà di essere anche in futuro un luogo di incontro per tutti». Due anni passano in fretta. Entro questo lasso di tempo molti movimenti cambieranno i propri vertici. Dopo Carrón sono attese le prese di posizione degli altri “big”, Chiara Amirante di Nuovi Orizzonti, Kiko Arguello dei Neocatecumenali, Salvatore Martinez del Rinnovamento dello Spirito, Marco Impagliazzo di Sant’ Egidio. Anche se le preoccupazioni del Papa non sembrano essere tanto nei loro confronti. Quanto per le molteplici micro realtà – si parla di oltre cento aggregazioni interessate dal decreto – tutte diverse fra loro, che in questi anni si sono formate non senza correre il rischio di nicchie di abusi di potere e in alcuni casi anche di violenze. Sono queste che hanno mosso Francesco. Sono queste situazioni che il Papa non vuole tornino a ripetersi. I casi come quello dei Legionari di Cristo e della doppia vita di Marcial Maciel Degollado fanno ancora male. E non sono isolati. Giovanni Paolo II non sempre fu in grado di vedere certi abusi e, in un’epoca storica nella quale il “noi”, l’essere in quanto comunità, veniva prima dell'”io”, puntò tutto sui movimenti e sulla presenza nella società dei differenti carismi. In una Chiesa protagonista della battaglia dell’Occidente contro le ideologie totalitarie, i movimenti erano una presenza sociale e politica forte. I carismi, pur con tutti i loro limiti, erano utili alla causa. Benedetto XVI fece sua la linea di Wojtyla seppure per primo aprì a un’azione dall’alto contro gli abusi, anche consapevole che il futuro della Chiesa non era più in azioni evangelizzatrici di massa ma in «minoranze creative», piccoli gruppi che sapessero dare l’esempio senza proselitismi né conquiste di campo. Dopo di lui, Francesco, che giusto due settimane fa ha implicitamente spiegato il senso del suo decreto. Nella prima udienza generale dopo il ricovero al Gemelli, infatti, il Papa ha ricordato come «tante volte abbiamo visto nella storia, anche vediamo oggi, qualche movimento che predica il Vangelo con una modalità propria, delle volte con carismi veri propri, ma poi esagera e riduce tutto il Vangelo al movimento ». Ma «questo non è il Vangelo di Cristo, è il Vangelo del fondatore o della fondatrice: e questo potrà aiutare all’inizio ma alla fine non fa frutti con radice profonda», ha chiarito. Qui c’è il senso delle sue disposizioni, qui la radice di un’azione che nel giro di 24 mesi democraticizzerà i vertici dei movimenti all’interno di un panorama ecclesiale nel quale il prevaricare dei leader sulle persone loro affidate non è più ammesso né tollerato».