Silvio Berlusconi ha diviso il vertice dei partiti di governo del centro destra in due momenti. Prima si è visto coi tre ministri di Fi, per un chiarimento. E poi c’è stato il pranzo con Salvini e gli altri ministri della Lega. La cronaca sul Corriere è di Paola Di Caro e Marco Cremonesi
«Prima un incontro «chiarificatore» tra Silvio Berlusconi e i suoi tre ministri «ribelli» – Gelmini, Carfagna e Brunetta – poi un pranzo allargato anche ai vertici di FI (Tajani, Ronzulli, Gianni Letta), ai capigruppo Bernini e Barelli e soprattutto a Matteo Salvini, i suoi ministri Giorgetti, Garavaglia e Stefani e i presidenti di gruppo, Molinari e Romeo. Quasi tre ore in tutto passate a Villa Grande, residenza romana del Cavaliere che fa gli onori di casa con la compagna Marta Fascina, e alla fine a dare il senso della giornata sono un comunicato ufficiale e un commento (autorizzato) dei ministri azzurri. Il primo, serve per ribadire che il patto Salvini-Berlusconi non si rompe e si va avanti con il coordinamento dei ministri per condurre battaglie comuni sulla manovra e non solo a partire dalla difesa delle partite Iva, e soprattutto sulla linea già sancita nel vertice del centrodestra: maggioritario, ovvero coalizione che non si divide, e compattezza nel voto per il Quirinale. I ministri azzurri invece informalmente fanno sapere che con Berlusconi il rapporto è leale e affettuoso e ci sarà sostegno totale se deciderà di candidarsi al Quirinale, definiscono «positivo» l’atteggiamento sul governo di Salvini ma dicono anche che «restano nodi» ancora da sciogliere sulla linea politica e sulla gestione del partito: «È necessario che sia rappresentata da tutto il movimento, con maggiore energia ed equilibrio, la linea moderata, europeista, liberale e garantista di FI, marcando meglio la sua identità». È tregua armata insomma, in un quadro che però si fa più chiaro. Berlusconi in un confronto a quattro di un’ora, ai suoi ministri – che invita ad incontrarlo «una volta alla settimana» per mantenere un rapporto diretto – dice molto chiaramente che «la linea a Forza Italia la do io» e che comunque nessuno «mi può accusare di essere prono a chicchessia». I ministri a loro volta gli assicurano che ci saranno se deciderà di correre per il Quirinale («Fotografiamo il voto e te lo facciamo vedere!», promettono sorridendo) ma pure avvertono: resta il problema dei vertici azzurri, con i quali è gelo, e non va smarrita la linea moderata di FI; Mariastella Gelmini, a sera, spiega: «Il centrodestra cresce se rispetta, riconosce e valorizza le differenze». Nel pranzo di gruppo invece le fila le tirano lo stesso Cavaliere e Salvini. Il leader della Lega è, da martedì, di umore eccellente. La sconfitta di Partito democratico e Movimento 5 Stelle è infatti una soddisfazione anche personale per il leader leghista: fu quella la tenaglia che nel 2019 stritolò il primo governo Conte, in cui Salvini era ministro dell’Interno. Dai ministri azzurri arriva l’invito ai leghisti a non premere l’acceleratore su temi divisivi come quelli sulla lotta al Covid e al green pass e Salvini sembra d’accordo: «Tra l’altro – ammette – rischiamo anche di apparire divisi. E il risultato sono state le ultime Amministrative». A rannuvolare l’incontro per un istante, la collocazione europea della Lega, il suo aver scelto Le Pen, Orbán e Morawiecki come possibili compagni di strada. Ma da quell’orecchio Salvini non sente. Conferma che sta lavorando alla «costruzione di un grande gruppo della destra europea» e c’è un po’ di tensione quando trancia la discussione: «Io rispetto le vostre opinioni, voi rispettate le mie». Il clima si distende davvero quando i leghisti sentono che Berlusconi non ha alcuna tentazione proporzionalista. «Il maggioritario l’hai inventato tu» dice Salvini al leader azzurro, che alza le braccia al cielo in una piccola ovazione. Il che è importante per dare sicurezze ai leghisti. Così, i salviniani si rilassano. E assicurano al Cavaliere il loro sostegno nella partita per il Quirinale. Almeno in prima istanza. La vittoria sul ddl Zan suggerisce che la partita per il Colle sia assolutamente aperta: i soli 450 voti di cui gode il centrodestra, inclusi i rappresentanti delle Regioni, non saranno la maggioranza ma sono un buon punto di partenza: «Siamo imprescindibili», se la gode Salvini».