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IL CROCIFISSO NELLE SCUOLE NON DISCRIMINA

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Piace in gran parte ad Avvenire la sentenza della Cassazione: il crocifisso, hanno detto in sostanza i giudici, non discrimina ma dev’essere un simbolo condiviso da tutti. Meriti e criticità della decisione nel commento nell’editoriale di Giuseppe Anzani.

«L’orizzonte si apre a temi più grandi, irrompono parole come libertà religiosa, laicità dello Stato, cultura e tradizione e comune sentire e individuale dissentire; e infine sullo sfondo, volere o no, resta quel mistero immenso che due millenni fa ha spaccato in due la storia del mondo. E dire che l’origine del caso è un episodio in apparenza banale: l’assemblea di classe degli studenti delibera l’esposizione del crocifisso nell’aula, un docente non lo vuole e lo stacca fisicamente durante le sue ore di lezione; riceve una sanzione disciplinare, la impugna. La causa percorre tutti i gradi e approda alle Sezioni unite, che decidono sostanzialmente così: l’aula può accogliere il crocifisso, quando la comunità scolastica decide in autonomia di esporlo; ciò non comporta discriminazione; il docente dissenziente non ha nessun potere di veto; deve tuttavia cercarsi una soluzione che rispetti la sua «libertà negativa di religione». Come a dire, in sottinteso, da ultimo: usate il buon senso. L’avversione al crocifisso scoppia episodicamente per iniziativa solitaria di individui dei quali è difficile capire se soffrano di allergia al senso religioso altrui o perseguano un disegno demolitore. Sono casi rari, ma eclatanti. Quello dello scrutatore elettorale, quello del giudice che rifiutava di tenere udienza, quello della donna atea che per far togliere il crocifisso dalla scuola portò il caso fino alla Corte europea dei Diritti umani (2011); e ne ebbe sentenza che l’esposizione del crocifisso «non è sufficiente a condizionare e comprimere la libertà di soggetti adulti e a ostacolare l’esercizio della funzione docente». Bisognerà dunque riflettere sulla autenticità di simili dichiarate ‘allergie’; la legge fondamentale sulla scuola (decreto legislativo n. 297/1994) garantisce ai docenti «autonomia didattica e libera espressione culturale», ma nel «rispetto della coscienza civile e morale degli alunni». Sono gli alunni, infatti, il corpo vivo della comunità scolastica; è in funzione di loro che si fanno cattedre, e non viceversa. Il gesto di togliere a forza, da sé, il crocifisso voluto dagli alunni non pare esattamente un atto educativo. Libertà? Colpisce la frase «libertà negativa» usata dalla Corte. Se ne intuisce l’intento protettivo, ma il rispetto del ‘negativo’ può imporre di azzerare ogni positivo? La libertà del no può annientare la libertà altrui del sì? Libertà è essenzialmente una dimensione positiva della persona umana, è un « agere licere». La libertà è espressione, non compressione. Se ha un limite, esso è dato dalle contigue libertà, e il suo traguardo è l’armonia. Così la libertà religiosa trova presidio in un concetto di laicità che è tutto il contrario di una asfaltatura dei simboli religiosi per non turbare gli irreligiosi. Chi non s’ intona al canto è libero di non cantare, ma non può pretendere di zittire il coro. Una laicità castrante non è nella nostra civiltà, non è nella nostra legge, non è nella nostra libertà. Ma infine, per chi ha fede, il nocciolo non è neppure il crocifisso-arredo. È il Crocifisso, il Vivente, e nessuno può toglierlo dal mondo, e nessuno ce lo stacca dal cuore».

Molto positivo il commento di Elena Loewenthal per La Stampa, che vede nella ricerca del “compromesso” l’aspetto migliore della sentenza della Cassazione.

«È molto vero, “non costituisce un atto di discriminazione”: simbolo di un dolore indicibile, racconto di un cammino unico al mondo, il crocifisso di per sé non è né una provocazione né un simbolo di belligeranza teologica. Così si sono espresse le sezione unite della Corte di Cassazione in una sentenza depositata ieri, a suo modo rivoluzionaria. Perché se non discrimina né esclude, “questo segno primario della fede cristiana esprime di per sé e l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo”: definisce cioè un’identità ben precisa. Per questo, prosegue la sentenza, l’esposizione di questo simbolo nelle aule scolastiche, così come di qualunque altro simbolo religioso, è soggetto a una decisione “in autonomia”, sempre cercando un “ragionevole accomodamento”. Il che potrebbe sembrare un’indicazione “farisaica”, giusto per restare nel contesto delle metafore teologiche, e invece rappresenta, nel suo contesto, una svolta importante. Il riconoscimento di quel pluralismo etnico, religioso, storico, che è davvero e ovunque la cifra di questa contemporaneità. Anche a casa nostra, così come a casa di chiunque altro. Perché è vero che il dialogo fra le religioni può arrivare sino a un certo punto, perché quando si tratta di confrontare diverse verità – e la fede non può che essere l’identificazione in una verità piuttosto che in un’altra – il terreno è tanto impervio quanto scivoloso, e l’unico equilibrio che si può raggiungere è fatto di cautela e rispetto. Ma quando si tratta, come si tratta oggi nel nostro mondo, di una convivenza quotidiana – e storica – fra fedi e appartenenze diverse, allora l'”accomodamento” diventa una soluzione coraggiosa, oltre che l’unica. Un accomodamento che abbia per presupposto la rinuncia a qualsivoglia forma di proselitismo, di esclusione. Il crocifisso è un simbolo di dolore, racconta una storia fondativa della nostra comune storia. Però appartiene a una fede ben precisa, racconta quella storia e non altre. Non offende chi non si riconosce in quella storia, in quella fede, ma certamente non significa la stessa cosa, e dunque perde la sua ragion d’essere in quel luogo in quel momento, se non è condiviso. Si svuota del suo significato, come succederebbe a qualunque altro simbolo religioso. Per questo un “compromesso” che stia nel valutare caso per caso l’opportunità di esporlo o meno in una classe non è né mai sarà un gesto di debolezza, di rinuncia, ma la risposta a quel senso primario del compromesso che, come diceva il compianto Amos Oz, è sinonimo non di cedimento ma di vita. Insieme, nel reciproco rispetto, con responsabilità e gentilezza. In questo senso, la sentenza della Corte di Cassazione costituisce un passo importante, a suo modo rivoluzionario, e spazza via tante polemiche inutili, acide e tenaci, intorno al crocifisso nelle scuole e alla coscienza identitaria. Che più è consapevole, più diventa tollerante non in un’accezione generica di questa parola, ma nel suo significato più profondo, di quel bene che sta nel saper riconoscere l’altro da sé e sentire, sapere, che senza l’altro da sé non siamo capaci di riconoscere neanche noi stessi».

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