A Ginevra oggi ci sarà un faccia a faccia fra Putin e Biden. Appuntamento importante che durerà tutto il pomeriggio. Paolo Mastrolilli dalle colonne della Stampa analizza la vigilia dal punto di vista americano:
«Verrà considerato un successo, il duello di oggi a Ginevra tra Biden e Putin, se decideranno di rimandare i rispettivi ambasciatori a Mosca e Washington. Questo aiuta a capire perché i presidenti americano e russo concordano sul fatto che le relazioni bilaterali tra i due paesi sono al livello più basso dalla Guerra Fredda. Se invece ci sarà l’intesa per avviare il negoziato sul trattato che regolerà le armi nucleari dopo la scadenza del New Start, allora sarà lecito parlare di un potenziale nuovo inizio. Ammesso che il capo del Cremlino sia disposto a differenziare la sua posizione da quella dell’amico cinese Xi, nella sfida geopolitica epocale lanciata contro le democrazie. (…) Durante il volo di ieri da Bruxelles, un’autorevole fonte della Casa Bianca ha presentato così il match: «Non ci aspettiamo grandi risultati concreti. Puntiamo su tre cose basilari: primo, l’individuazione di una chiara serie di aree dove lavorare insieme può far avanzare il nostro interesse nazionale, e rendere il mondo più sicuro. Secondo, una chiara definizione degli interessi nazionali vitali dell’America, in cui le attività russe contrarie troveranno una risposta. Terzo, una chiara spiegazione della visione del Presidente riguardo i valori americani e le nostre priorità nazionali». Mosca ha lasciato trapelare che un primo passo potrebbe essere il ritorno degli ambasciatori, e la Casa Bianca ha aperto così: «È una possibilità». L’obiettivo più ambizioso sarebbe l’avvio delle trattative per rimpiazzare il trattato New Start sulle armi nucleari, che è stato appena rinnovato ma scadrà nel 2026: «Siamo flessibili – dice la Casa Bianca – sui tempi e i formati degli accordi. Potrebbe esserci un risultato più complessivo, oppure intese che toccano diversi aspetti in tempi diversi. Non è necessario aspettare la fine dello Start. Però è chiaro che scade nel 2026, e i due presidenti stanno cercando di stabilire cosa verrà dopo».
Anna Zafesova, sempre su la Stampa, dà il senso dell’attesa da parte dei russi:
«Già la scelta del posto – nessuna visita bilaterale, nessun vertice ai margini di un evento multilaterale come un G20, ma un appuntamento in un Paese terzo, neutrale – è un segnale inequivocabile: non si tratta più di un incontro tra alleati o partner, e nemmeno di un tentativo di «reset» come era stato con il primo summit con Donald Trump. Biden ha chiamato Putin «killer». Putin ha inserito gli Usa nella lista dei «Paesi ostili alla Russia». I rapporti diplomatici, economici, culturali tra i due Paesi sono praticamente congelati. Nessuno spera di affascinare l’avversario. Non sono previsti siparietti informali che devono dimostrare il feeling reciproco e il «volto umano» dei presidenti. Sarà un negoziato tra nemici. Nessuna delle due parti spera in un cambiamento, e si prepara a un match freddo, pragmatico, teso: come ai vecchi tempi quando russi e americani si incontravano a Vienna, Helsinki o nella classica Ginevra, per discutere non su come cooperare, ma su come non farsi troppo male a vicenda. Per porre dei paletti, e discutere su come impedire all’avversario di oltrepassare le bandierine rosse. La lista degli accompagnatori di Putin a Ginevra mostra già quali sono le attese di Mosca: oltre alla scontata presenza del ministro degli Esteri Sergey Lavrov e dell’ambasciatore russo a Washington Anatoly Antonov, ci saranno il capo dello Stato maggiore Valery Gerasimov (proprio quello che un noto fake vuole autore della dottrina della «guerra ibrida»), il negoziatore russo in Ucraina Dmitry Kozak e il rappresentante speciale del Cremlino per la Siria Aleksandr Lavrentiev. Dunque, i dossier che Mosca è pronta a discutere immediatamente, anche in dettaglio pratico, sono il disarmo, il Donbass (soprattutto dopo che Biden ha promesso a Kiev una road map per la Nato) e il Medio Oriente».
Il nuovo presidente americano non fa solo notizia per i vertici e gli incontri diplomatici. Oggi i Vescovi cattolici Usa discutono sulla sua fede (Biden è cattolico, il secondo Presidente dopo Kennedy) e la possibilità di dargli la comunione. Dal Corriere della Sera:
«L’assemblea dei vescovi Usa si riunirà «virtualmente» in Rete da oggi a venerdì. E virtuali rischiano di restare i propositi bellicosi dei vertici conservatori della conferenza episcopale, che da mesi meditano di approvare un documento per impedire ai politici cattolici favorevoli alle leggi sull’aborto, e anzitutto al presidente Joe Biden, di fare la comunione. Da più di un mese il Vaticano ha avvertito i vescovi di non farlo. L’altolà è arrivato il 7 maggio con una lettera del cardinale Luis Ladaria, prefetto dell’ex Sant’ Uffizio: «Sarebbe fuorviante se si desse l’impressione che aborto e eutanasia da soli costituiscano le uniche gravi questioni della dottrina morale e sociale cattolica». Joe Biden, secondo presidente cattolico dopo Kennedy, è personalmente contrario all’aborto ma sostiene le leggi per la libertà di scelta. Le regole della Chiesa sono definite nel Diritto canonico: non sono ammessi all’Eucaristia coloro che «ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto». Una formulazione abbastanza elastica da consentire interpretazioni differenti nel tempo. I vescovi conservatori e la destra cattolica evocano una «nota riservata» dell’allora cardinale Ratzinger, nel 2004. Ma il magistero cambia. E papa Francesco non accetta l’uso politico della comunione. Da ultimo ne ha parlato all’Angelus del 6 giugno: «L’Eucaristia non è il premio dei santi, ma il Pane dei peccatori». Il cardinale Ladaria ha scritto che, per evitare che il documento sia «fonte di discordia», ci vorrebbe un «consenso unanime» tra i vescovi, sapendo che non c’è. Il cardinale di Washington Wilton Gregory ha già chiarito che Biden è il benvenuto nelle chiese della diocesi».