IL VIAGGIO DI BIDEN IN EUROPA DIVIDE LA POLITICA ITALIANA
Antonio Socci in un approfondimento per Libero sui cambiamenti della politica italiana, impressi dal governo, si sofferma sulle conseguenze dell’azione diplomatica di Mario Draghi durante il viaggio di Biden in Europa. E sulle conseguenze che il cambiamento del quadro internazionale crea sui nostri partiti.
«Mario Draghi si trova al centro delle due “rivoluzioni”- quella geopolitica e quella economica- quindi è un protagonista della partita internazionale, come si è visto in tutti i summit di questi giorni. Con Draghi l’Italia si trova ad avere un peso internazionale che è davvero insolito. Le conseguenze sono notevoli. Però molti nostri politici faticano a capirlo. Si attardano in polemiche provinciali e il mondo nel frattempo va da un’altra parte. Nel M5S, Conte sembra voler solo organizzare la guerra a Draghi, mentre Grillo si mette in evidenza come filocinese in perfetta contrapposizione a Draghi e agli Usa. D’Alema – padre di Leu – va anch’ egli contro la linea Biden – Draghi, sperticandosi in elogi del regime comunista cinese. Enrico Letta non spiega come fa il Pd ad essere alleato strategico di M5S e Leu che si contrappongono così al governo Draghi sull’alleanza occidentale. Il segretario Dem sembra far finta di nulla e fatica pure ad accettare di essere in maggioranza con Lega e Forza Italia. Il suo partito appare frastornato e non sa più ritrovare sé stesso (come mostrano le sue primarie)».
Su Repubblica Concetto Vecchio va a scovare il presidente 5 Stelle della Commissione Esteri del Senato, che è completamente allineato con Pechino, persino sulla persecuzione degli uiguri.
«Senatore Vito Petrocelli, presidente M5S della Commissione esteri, l’intervento filocinese sul blog di Grillo impegna i Cinquestelle? «No, direi di no. Il blog non è da tempo più l’organo del Movimento». Lei può essere definito filocinese? «Posso essere definito in tanti modi, anche filocinese». Ha fatto un tweet per dire che “l’Italia dev’ essere il miglior riferimento per Cina e Russia. Non il contrario”. Cosa intendeva dire? «A differenza di altri non devo ogni volta ribadire la mia fede filoatlantica, ma penso che proprio all’interno del campo occidentale l’Italia debba essere il miglior riferimento per Russia, Cina e Iran». Non è una contraddizione? «No, in piena guerra fredda la Fiat costruì lo stabilimento in Unione sovietica, a Togliattigrad. Era una contraddizione?». Ma i Cinquestelle stanno con Draghi, filoatlantico, o con i cinesi? «L’Italia deve fare tutto il possibile per mantenere un dialogo con questi Paesi. Draghi ha detto che con la Cina il governo si muoverà lungo tre linee, ma io aggiungerei anche le relazioni commerciali e culturali». Siete gli unici filocinesi in maggioranza. «Che io sappia nessuno del M5S ha fatto gli auguri per il centenario della fondazione al Partito comunista cinese. Qualcuno del Pd invece l’ha fatto. Ecco, ne approfitto per farli anch’ io». Per il G7 la Cina è il nuovo avversario delle democrazie avanzate. «La trovo una posizione quasi da guerra fredda. In Cina nessuno contesta che noi siamo una democrazia, mentre trovo poco corretto che noi mettiamo in discussione un modello di stampo socialista, che viene accettato da un miliardo di persone». La Cina è contestata per la minaccia che rappresenta ai nostri valori e alla nostra economia. «Non penso affatto che la Cina rappresenti una minaccia per i nostri valori morali e commerciali: durante la pandemia ha importato prodotti italiani come mai prima d’ora. “Chiedete agli imprenditori se sono contenti”, ha detto Di Maio». Draghi le sembra freddo sulla Via della Seta? «Mi sarei meravigliato del contrario. Invece ho mantenuto la stessa posizione che avevo quando venne firmato l’accordo durante il Conte 1. È una grande opportunità per il nostro Paese e per l’Europa». E sui diritti? Sulla persecuzione della minoranza uigura è un negazionista? «Ho sottoscritto il rapporto che mette in discussione la persecuzione. Sono per ricostruire il dialogo, su una questione così delicata, che va affrontata senza faziosità».
Il Fatto cerca (e trova) in Sergio Romano un’autorevole conferma: meglio che l’Italia “resti in bilico”, di fronte alle iniziative internazionali di Biden. In questa “ambiguità” può esistere la posizione filo cinese di Grillo, tanto per fare un esempio:
«Per Sergio Romano, ex ambasciatore in Unione Sovietica e accademico tra i massimi esperti di politica internazionale, “in questo riassetto atlantico, l’Italia è come sempre abbastanza ambigua: non si vuole lo schieramento totale, si mantiene una politica prudente, per dimostrare che non bisogna rompere i rapporti o sprecare occasioni. È quello che ha fatto Draghi, ma lo avrebbe fatto chiunque al suo posto. È stata sempre questa la linea dell’Italia nei momenti più critici”. Ambasciatore Romano, tra Nato, Russia e Cina, è corretto dire che l’Italia rimarrà in bilico? «Non è bello, ma si può dire così». Ieri per la prima volta si sono incontrati i presidenti Joe Biden e Vladimir Putin a Ginevra. «Se hanno deciso di incontrarsi, non lo hanno fatto per manifestare dissenso: desiderio reciproco di entrambi è dare un’immagine positiva e portare a casa qualcosa. Sanno che se il risultato sarà un fiasco totale, il clima internazionale precipiterà e condannerebbero se stessi all’insipienza e all’incapacità. Dare un’immagine di impotenza, non gioverebbe a nessuno dei due. Dichiareranno qualcosa di non impegnativo, come per esempio che cercheranno di incontrarsi in altre circostanze e che manterranno i colloqui tra collaboratori». Putin ha urgenza di risolvere due conflitti: Libia e Siria. Biden chiede invece chiarezza sulla guerra in Ucraina e sull’oppositore Navalny, ora in carcere. «Navalny, Libia, Ucraina: non potranno non parlare di queste problematiche urgenti, ma non so quanto diranno del vero risultato delle loro conversazioni. Anche se nessuno dei due rinuncerà a quelle affermazioni di principio che fanno parte del loro inevitabile bagaglio, tenteranno di conservare un clima disteso, non diranno nulla di esplicitamente costruttivo, ma preserveranno la continuità del dialogo». Biden, nel suo tour in Europa, ha rinvigorito l’immagine di imprescindibilità e supremazia della Nato, un’organizzazione che Macron, qualche anno fa, ha definito in stato di ‘morte celebrale’. «Credo che il Presidente francese lo pensasse e, per certi versi, aveva ragione. Di certo è avvenuta la sua rivalutazione, insieme a quella degli Usa come leader globale. La Nato, tornata a essere la più importante e principale organizzazione del momento, è sulle prime pagine di tutti i giornali, ma vediamo questo cosa significherà in termini reali».