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IN NORVEGIA HA VINTO LA SINISTRA…

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Poalo Mieli sul Corriere della Sera parte dall’inaspettata vittoria della sinistra in Norvegia per passare alla possibile vittoria del socialdemocratico Scholz in Germania e così arrivare ai sondaggi che sono lusinghieri per il Pd in Italia alle prossime amministrative.

«Miracoli e sorprese della sinistra europea: si riparte da Støre. Sì, da Jonas Gahr Støre, il miliardario laburista, già braccio destro dell’ex premier e attuale segretario della Nato Jens Stoltenberg, che ha sbaragliato i conservatori di Erna Solberg, al potere in Norvegia da otto anni. Støre ha ottenuto una vittoria ben più ampia di quella che gli assegnavano le rilevazioni demoscopiche. Quasi sicuramente avrà in Parlamento la maggioranza assoluta dei seggi. Così anche se porterà con sé al governo altri partiti desiderosi di coalizzarsi con lui, non dovrà subire i loro condizionamenti. Deciderà da solo se, e in che misura, ridurre le trivellazioni petrolifere contestate dai Verdi e da altre formazioni minori. Disporrà per una stagione di ampi poteri. Stessa disposizione d’animo nei confronti dei soci minori avrà il socialdemocratico Olaf Scholz al quale i sondaggi attribuiscono un analogo successo in Germania dove si voterà tra dieci giorni. Nel corso della campagna elettorale Scholz non ha voluto prendere impegni e ha evitato di ribadire – come la Spd ha sempre fatto – che non si alleerà con gli scissionisti di Die Linke. Ma è per lui un punto fermo non voler sentire neanche parlare di uscita dalla Nato o di altri condizionamenti che i piccoli potenziali alleati potrebbero volergli imporre. E se non ha chiuso del tutto la porta all’estrema sinistra, lo ha fatto (oltre che per scaramanzia) per aver maggior potere contrattuale il giorno in cui, in caso di vittoria, dovrà sedersi al tavolo con tutti i potenziali alleati. In ogni caso le dimensioni della vittoria di Støre hanno riacceso le speranze dell’intera sinistra europea che da anni sembrava aver smarrito persino il senso della propria esistenza. Curioso che questa riproposizione del sogno avvenga per merito di uomini d’ordine e di governo, così diversi dai leader radicali e romantici alla Corbyn. (…) Con la vittoria (ipotizzata, ribadiamolo, dai sondaggi) a Roma, Milano, Bologna, Napoli e molti altri comuni, Enrico Letta potrebbe mettere un piede sul piedistallo su cui è appena salito Støre e su cui forse si eleverà Scholz. E lo farebbe in un momento assai particolare nel quale il suo partito non dava segni di ripresa rispetto ai risultati delle più recenti elezioni. Per di più in tempi in cui la destra sembrava esser stata l’unica beneficiaria dell’emorragia di voti dei Cinque Stelle. La tecnica è stata quella di impegnarsi in battaglie identitarie di testimonianza che non mettessero in difficoltà il governo. E di presentarsi, anzi, come difensore di ministri – ad esempio la Lamorgese – messi nel mirino da Salvini. Letta è stato sorprendentemente capace persino di lusingare e corteggiare Giorgia Meloni pur di isolare e mettere in difficoltà il leader della Lega (e con lui Matteo Renzi). Si può ipotizzare che il segretario del Pd sia stato fin qui un po’ sottovalutato».

Il Foglio la chiama: La figaggine di voler tassare i ricchi. Giuliano Ferrara in prima pagina analizza la foto della democratica Usa iper liberal Ocasio- Cortez, ritratta con un abito da sera bianco e la scritta Tassa i ricchi ad una festa di moda. Uno scatto che ha fatto il giro del mondo.

«Ha poco più di trent’ anni, bella faccia e bel corpo, eletta giovanissima alla Camera dei rappresentanti due volte a Queens e nel Bronx, dove nacque con sangue portoricano nelle vene, è socialdemocratica, nemica di Wall Street e del capitalismo, è andata alla costosa festicciuola di Anna Wintour, il Met Gala, vestita di un abito bianco fasciante con su stampato in caratteri rossi allegri: tax the rich, tassiamo i ricchi. Un caso di vanità? Un caso di ipocrisia? Non pare, al di là del naturale compiacimento per un Sé molto ben presentabile. Alexandria Ocasio- Cortez ama posare da quel che è. Una combattiva, nata per fare sensazione, una specie di Chomsky femmina, una ultrasanderista che vuole l’istruzione e la sanità gratuite, la fine del sistema carcerario americano, lo smantellamento delle reti protettive antimmigrazione, vuole le rinnovabili e le infrastrutture a zero emissioni, un sistema fiscale draconiano contro il profitto eccetera, e persegue tutto questo nella democrazia rappresentativa ma con l’azione diretta. Quel che AOC desidera, e per cui lavora anche al Met Gala, è il solito paradiso dell’eguaglianza, del rigetto di privilegi e emulazione competitiva, è umanitarismo e solidarietà sociale al massimo grado, un taglio netto ai parametri della libertà, del mercato e della concorrenza. Il suo punto di forza non è solo charme, buoni discorsi febbrili e lucidi, posture emotive forti, provocazione mondana, figaggine. Aggiunge al suo programma politico e sociale, ancora scandaloso per il grosso della classe media americana, un uso astuto del senso di colpa del capitalismo più estremo e sfacciato, che non riesce a mantenere fino in fondo la promessa della mobilità, il sogno individualistico. L’odio di sé dei capitalisti per molto tempo ha preso la forma della filantropia, perché il sistema di organizzazione della società lasciava indietro minoranze alle quali era giusto provvedere con il ricasco dello sviluppo e dei grandi profitti che lo muovevano. Non dimenticare i più bisognosi, avverte sempre il New York Times sotto Natale, e questa è la cartolina dei buoni propositi. Ma ospedali, istruzione, ricerca, emarginazione urbana sono da sempre il terreno privilegiato di un intervento a sostegno, fatto anche di grandi campagne planetarie per lo sradicamento della povertà estrema e della malattia, che è blasone e orgoglio del capitalismo e dei capitalisti, un modo di essere piuttosto che un’elemosina. La socialdemocrazia che non ha più timore di sé stessa, e che fa del radical chic un’ar – ma invece che una condizione psicologica imposta dalla propaganda avversaria sulla gauche caviar, trova un cuneo di penetrazione efficace nel momento in cui i neediest, i vulnerabili, non sono più lo scarto dello sviluppo impetuoso e dell’ascensione possibile di tutti verso il successo ma una piaga sociale diffusa, nella percezione dell’immobilismo e della trasformazione del profitto in privilegio consolidato, pietrificato. E’ a quel punto che i ricchi corteggiano un abito fasciante in cui è scritto che bisogna tassarli, senza pensare più alle conseguenze di un sistema che appiattisce e limita, in cuor loro sperando di trasformare il socialismo in un business efficace e redditizio. Il punto debole di AOC è proprio qui, nel fatto di piacere da morire a quelli che vorrebbe sgozzare come tacchini nel giorno del Ringraziamento».

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