Veniamo alla pandemia. I contagi tornano a salire in 13 regioni italiane, ma ci sono grandi differenze. Nella sola Sicilia, la regione con il tasso più basso di vaccinati rispetto alla popolazione, ci sono stati un terzo dei contagi di tutta Italia. La cronaca di Laura Anello su la Stampa.
«L’unico raggio di sole in una giornata plumbea arriva dai sorrisi di Flavio e Vincenzo Basile, fratelli di 13 e 15 anni, corsi a fare la prima dose di vaccino nel camper mobile a Sferracavallo, borgata marinara alle porte di Palermo. «Vogliamo fare uno il medico e uno il chimico, quindi ci tenevamo», dicono raccomandando a tutti di vaccinarsi, mentre più di 150 persone si mettono in fila in poche ore. Piccola speranza in una corsa contro il tempo, in una Sicilia entrata in zona gialla e consapevole che potrebbe essere solo l’inizio. Ieri nuovo picco di contagi, ben 1.600, più di un terzo di quelli di tutta Italia. Ma anche oltre lo Stretto la situazione resta critica: il numero di contagi scende rispetto all’altro ieri (4.257 contro 5.949), ma come ogni lunedì è per effetto del minor numero di tamponi fatti di domenica, metà del giorno precedente. In realtà il tasso di positività è salito, dal 2,7 al 3,9 per cento in un solo giorno, con 53 morti e 50 ingressi in rianimazione, e la sola nota positiva della Val d’Aosta che ha zero casi e può issare la bandiera di regione Covid free. Dall’altro capo dello Stivale, in Sicilia, dove i positivi sfiorano quota 28.500, il camper delle vaccinazioni batte a tappeto quartieri popolari e borgate, ma neanche l’ingresso in zona gialla sembra a prima vista avere innescato un cambio di marcia. Ieri, in una giornata di sole finalmente non afosa, folle di ragazzi sciamavano in centro senza l’ombra di mascherina. E i tavolini dei ristoranti, che adesso anche all’aperto possono ospitare non più di quattro commensali, erano così attaccati gli uni agli altri da sembrare un’unica area conviviale. Niente controlli in giro per tutto il giorno, non risultano multe, di sera in giro qualche pattuglia di carabinieri. Ma tutto, ancora una volta, è lasciato alla responsabilità personale, cosa che in Sicilia si intreccia con il consueto fatalismo e con l’antico ribellismo anti-Stato declinato adesso in salsa sanitaria. In un anno il tormentone trash di «Un cinn’è Coviddi» che aveva suscitato un’ondata di indignazione corale, è tracimato nella diffidenza dei quartieri popolari, nelle disquisizioni libertarie di tanti manzoniani don Ferrante, nelle teorie del mondo delle cure alternative. Mentre quelli dell’altra metà del cielo, i vaccinati, cominciano ad alzare la voce e i toni. «Obbligo vaccinale, e basta», è il refrain che si rincorre dagli ospedali ai social, dai salotti alle scuole. «Lo faccia la Regione, che è autonoma», azzarda qualcuno. Non lo può fare, ma il clima si arroventa. Perché se la zona gialla è – come dicono in tanti – «acqua fresca», si avvicina lo spettro della zona arancione, che significa invece già la morte sociale, con il divieto di spostamento tra comuni, il coprifuoco, il nuovo stop alle attività culturali, dai teatri alle mostre. L’imperativo quindi è vaccinare, ovunque. Perché più di un siciliano su tre non ha ancora ricevuto la prima dose (il 36,3 per cento contro una media italiana del 29,3) e solo il 55,2 ha ricevuto la doppia dose rispetto a una media nazionale del 62,2. Le autorità regionali moltiplicano gli inviti, additano l’invasione di turisti di questa estate, ma chi sbarcava dagli aerei o dalle navi non aveva l’obbligo di tampone e sciamava allegramente tra isole e località balneari. Così gli appelli sono tardivi, come in un infinito déjà vu».