Gravissimo incendio in un grattacielo in un quartiere a sud di Milano, in una zona non lontana dal nuovo museo Prada. La cronaca di Repubblica.
«Zanini? L’avete visto Zanini? ». Il volontario della Protezione civile urla. «Chi ha il megafono?». Finito l’appello, l’uomo in tuta detta alla collega che tiene il conto i nomi di chi dormirà in hotel. Settanta famiglie, quelle residenti alla Torre Moro di via Antonini, periferia sud di Milano, in teoria sono tante. Ma a ieri sera si contavano solo quarantasei superstiti, una ventina di intossicati medicati sul posto, nessun ustionato, soprattutto nessuna vittima. È presto, però, per gridare compiutamente al miracolo, vista la rapidità con cui le fiamme hanno divorato i sedici piani di questo grattacielo in miniatura: i vigili del fuoco faticano a risalire oltre l’ottavo, viste le temperature e l’autonomia delle autoclave che non è infinita. Ancora alle 22 le lingue di fuoco dal salotto di un trilocale al decimo piano erano visibili da centinaia di metri. Col mattino, si saprà. Ma se nessuno, davvero, ci avrà rimesso la pelle, molto merito andrà alla chat di condominio impazzita di messaggi dalle 17.35 di ieri pomeriggio, l’ora del primo filo di fumo da un balcone del quindicesimo piano. Molti sono venuti via con le loro gambe, giù per le scale, lasciando indietro le loro cose, le loro vite. Ma vivi. «Qualcuno ha un contatto del signor Mahmood?». Già, anche lui vive qui, il vincitore di Sanremo di due anni fa. È vivo e già rassicura sui social. Così fa il dirimpettaio Morgan, anche lui residente di questo pezzo di Milano, subito in strada a postare lo sconvolgente spettacolo. Si aggira con i capelli grigi, blu e rosa, posta, chiede e chiacchiera in mezzo alle centinaia di vicini, conoscenti, passanti. Un tocco di surreale in mezzo a cotanto sfacelo. Sono “lastre prefabbricate in polistirene autoportanti” quei coriandoloni incendiati che si vedono cadere giù fino alle quattro larghe carreggiate di via Antonini, mentre i pompieri stanno già battagliando. È il rivestimento, la teoria lo vorrebbe ignifugo, i fatti testimoniano altro. È lamierino che viene via con i filamenti dei isolante, all’apparenza lana di roccia, e che lentamente piove su un quartiere attonito. In un attimo, nella città ancora semivuota dell’ultima domenica di agosto, i mezzi dei vigili del fuoco piombano nel cortile: saranno venti alla fine, e settanta uomini a innaffiare da giù e a pompare dai cestelli. Arriva il sindaco Beppe Sala – che annullerà l’incontro della sera con Enrico Letta alla festa del Pd – arriva il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, titolare dei reati ambientali, per cercare di capire. Camminando tra residenti che hanno perso mobili, documenti, gatti, tutto. «Dei box si sa niente? », chiede da dietro la mascherina un residente appena tornato dal mare. Incendiati anche quelli. Qualcosa, ai piani bassi, si è salvato. Ma lo scheletro d’acciaio, quello che reggeva il rivestimento sbriciolato, è rovente. L’anima del palazzo, in cemento armato, regge. Il resto, come singhiozzano due ragazzi abbracciati sul marciapiede, no. «Su quei pannelli avevamo chiesto informazioni, ci avevano rassicurato. Si sono fusi come burro». Le analisi si concentreranno soprattutto sulla loro composizione. «La velocità con cui si sono propagate le fiamme pare sia legata proprio al cappotto termico dell’edificio » fa sapere il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia. Quarantasei evacuati. Solo a sera Beppe Sala può dare l’annuncio sospirato: tutti contattati anche gli altri, tutti salvi. Anche la ventina di inquilini in gita o ancora in ferie a Finale Ligure o a Lanzarote. «Adesso penseremo a dare un aiuto a questa povera gente». L’importante, per ora, è che nessuno sia rimasto in trappola, mentre i roghi che continuano a consumare il palazzo. Nessun corpo carbonizzato di persone sole, o invalide, o semplicemente fuori dalla provvidenziale chat del palazzo. Il miracolo si compie. «Poi penseremo a spegnere tutto – spiegano i vigili del fuoco – e a capire le cause». Appaiono accidentali, ma non è improbabile che la Procura apra un fascicolo per disastro e incendio doloso, così da poter procedere ad accertamenti più approfonditi e non escludere ogni ipotesi, anche quella remota di un gesto volontario. La relazione degli specialisti del comando dei pompieri di via Messina non arriverà prima del fine settimana, poi sarà la volta dei periti. Proveranno a spiegare come una struttura ultimata nel 2010, di un certo lusso e con finiture di pregio in relazione al contesto – il quartiere è popolare – possa essere stato incenerito da una sigaretta abbandonata, o da un elettrodomestico difettoso abbandonato in terrazza. “Vele asimmetriche”, “moto ondoso”, lo slang del marketing immobiliare liquefatto nel giro di qualche ora. Tutto esploso, in uno scenario non dissimile alla guerra, con macerie sparse nel raggio di mezzo chilometro. Solo che non sono piovute bombe in via Antonini. È non si contano morti. Per ora».