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INCHIESTE E VELENI PRIMA DEL VOTO

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A proposito di scandali e polemiche. Queste elezioni amministrative, come notava Campi, sono state molto poco sul merito. Una campagna elettorale turbata da un’inchieste penale (su un esponente della Lega), da una durissima sentenza contro un candidato simbolo della sinistra e un’inchiesta giornalistica su Fratelli d’Italia. Chiara Giannini sul Giornale torna sul caso Morisi e sull’ipotesi di una “manina” che ha pilotato il caso.

«Come fa il quotidiano la Repubblica a sapere che «Luca Morisi o comunque persone che parlavano a suo nome nei giorni seguenti al 14 (agosto, ndr) hanno preso contatto con tre persone al ministero dell’Interno»? E chi ha detto ai giornalisti che «la sollecitazione era sempre la stessa: gestire la pratica col massimo riserbo, evitare la fuga di notizie»? Forse qualche leghista ha ragione ad asserire che nella vicenda che riguarda l’ex spin doctor di Matteo Salvini c’è l’ombra della manina del Viminale. Sia chiaro, nessun nome è stato fatto, ma gli attacchi del leader della Lega all’attuale ministro dell’Interno Luciana Lamorgese per certi ambienti erano qualcosa che andava fermato. E allora cosa c’è di meglio che andare a colpire le persone più vicine al segretario del partito del Carroccio, studiandone i movimenti, le abitudini, pure sessuali e quindi colpirlo a 5 giorni dalle elezioni amministrative? Le notizie su Morisi, guarda caso, arrivano tutte proprio a Repubblica e al Corriere della sera, giornali molto vicini al Viminale. Il primo quotidiano parla delle telefonate dell’ex social media manager, il secondo è bene informato su quanto accadde quella notte, spiega che «il pomeriggio del 14 agosto Morisi lo passò in caserma», che «non fece il nome del pusher e alla fine rifiutò di firmare il verbale». Con l’attenzione mediatica che c’è sulla vicenda, con l’assicurazione della procuratrice di Verona Angela Barbaglio sul fatto che nessuna fuga di notizie è avvenuta dagli ambienti della magistratura e con la certezza che neanche i carabinieri hanno fatto trapelare notizie, c’è da chiedersi come il quotidiano continui a poter avere così tanti dettagli. È ovvio che c’è un corvo, qualcuno che, forse in ambienti che già tenevano d’occhio la vita di Morisi, sa bene come sono andate le cose e le spiffera ai giornali «amici» col solo intento di colpire la Lega in periodo di elezioni. La cosa che sorprende ancora di più è che nonostante le contraddizioni nel racconto di Petre, uno dei due presunti escort romeni che accusa l’ex social media manager di avergli passato quella bottiglietta contenente liquido trasparente, i giornali continuino a indagare sulla vita privata di Morisi. Ormai siamo ai livelli di voyeurismo da Grande Fratello, con le telecamere puntate sui gusti sessuali e sui vizi di una persona più che sugli eventuali reati commessi. Che poi c’è da dire: che sarà se fosse dimostrato che lo stesso era solo un consumatore di cocaina e non uno spacciatore? I processi mediatici messi in atto da qualche giornale gli avrebbero affibbiato un marchio difficile da togliere. La questione toglierà voti alla Lega? È da dubitarne fortemente, visto che la maggior parte degli italiani sui social parla di «accanimento» nei confronti di una persona. Se Morisi fosse stato uno qualsiasi sarebbe stato classificato come un consumatore di stupefacenti, uno tra i tanti e la storia sarebbe finita lì. Ma questo è il Paese che rende vittima un Mimmo Lucano condannato a oltre 13 anni di carcere. Morisi ha un’unica colpa: era vicino a Salvini e al centrodestra».

Poi c’è il caso sollevato dall’inchiesta video di Fanpage. Che ha plasticamente illustrato pratiche quantomeno spregiudicate. E che ha portato all’autosospensione dell’europarlamentare di Fdi Fidanza. Il “barone nero” Jonghi Lavarini lancia un messaggio ai leader del centro destra: non fate finta di non conoscermi. Il punto di Giampiero Rossi sul Corriere.

«Il giorno dopo la bufera è anche il giorno prima del voto. Così i buoni motivi per evitare di rispondere alle domande che suggeriscono le immagini dell’inchiesta di Fanpage sono almeno due: il silenzio elettorale (imposto dalla legge) e la prudenza giudiziaria (raccomandata dai rispettivi avvocati). Così i tre protagonisti principali del videoracconto del giornalista travestito da imprenditore che per tre anni ha frequentato alcune figure della destra milanese, almeno per il momento, non forniscono una loro interpretazione autentica di frasi e dialoghi che spalancano la strada a pesanti dubbi politici e a un’iniziativa della magistratura e della Guardia di finanza milanese per fare luce su presunti canali illeciti di finanziamento della campagna elettorale. Tace Carlo Fidanza, eurodeputato e punto di riferimento importante di Fratelli d’Italia a Bruxelles, a Milano e a Roma. Non risponde Chiara Valcepina, la candidata per un posto da consigliere comunale a Milano attorno a cui gravita il gruppo avvicinato dal falso imprenditore. Dice di non poter parlare, ma fa partire una raffica di comunicati e messaggi (anche trasversali), Roberto Jonghi Lavarini, detto «il Barone nero», che nelle immagini appare molto attivo accanto a Fidanza nella campagna a sostegno dell’avvocato Valcepina. «Sono assolutamente indipendente e apartitico ma nessuno faccia finta di non conoscermi o, peggio, si permetta di offendere gratuitamente me e la comunità di veri patrioti che rappresento», posta su Instagram, accanto alle foto che lo ritraggono con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E così sembra voler replicare a chi, come Ignazio La Russa, lo ha liquidato come «macchietta». Perché, aggiunge Jonghi Lavarini, «il 5% di voti della destra radicale fa gola a tutti ed è indispensabile per vincere». Quindi fa sapere: «Stiamo raccogliendo il lungo elenco di chi sarà denunciato per diffamazione aggravata a mezzo stampa e minacce sui social». A prendere le distanze, tuttavia, è anche Mery Azman, la candidata nel Municipio 3 a Milano che nel video di Fanpage viene indicata come «la candidata ebrea» perché vicina alla comunità: «Almeno in mia presenza, nonostante il clima scherzoso e poco politico, non vi è stato alcun atteggiamento apologetico né tantomeno razzistico – precisa a proposito di un’iniziativa elettorale alla quale ha partecipato – e gli esponenti di FdI presenti hanno semmai, parlando tra loro, preso le distanze da idee e comportamenti di Jonghi Lavarini descritto come un personaggio da non prendere mai sul serio e lontano da FdI». In effetti il «Barone nero» era stato già espulso da An, ricorda sempre La Russa, e successivamente aveva rotto polemicamente con Fratelli d’Italia, un partito troppo moderato e «centrista» per lui, salvo poi apparire come candidato alla Camera nel 2018, ma «come indipendente». Nel 2020 ha rimediato una condanna a due anni per apologia del fascismo per aver scandito in televisione le sue idee a dir poco nostalgiche del ventennio: «Il fascismo è stata una splendida epoca», «un goccino di olio di ricino è digestivo», «l’unico errore vero di Mussolini è che è stato troppo buono». Intanto Massimiliano Bastoni, consigliere comunale e regionale della Lega vicino agli ambienti della destra radicale milanese, rivela che il giornalista «spacciandosi per lobbista, ha avvicinato anche me promettendo finanziamenti illeciti per la mia campagna elettorale ma gli ho risposto che faccio tutto in regola e che non vendo i miei ideali. Ho registrato tutte le conversazioni e sono a disposizione della Procura».

Il rapporto col passato fascista potrebbe essere uno dei motivi della mancata affidabilità di Giorgia Meloni. Lo pensa lo storico Franco Cardini, intervistato da Concetto Vecchio di Repubblica.

«Professor Franco Cardini, lei ha molta stima di Giorgia Meloni. «Confermo». Voterebbe per Fratelli d’Italia? «Allo stato attuale delle cose assolutamente no». Perché? «Giorgia è bravissima, ma la sua classe dirigente e il suo staff sono, salvo eccezioni, poco affidabili. Diciamolo pure: è sprecata in quel partito!». Un leader di valore non dovrebbe scegliere gli uomini migliori? «È equilibrata, il suo linguaggio è all’altezza delle situazioni, studia i dossier, non come certi cialtroni che vanno in giro con il rosario di Lourdes. Purtroppo pesa sul suo partito un ben noto peccato originale». Si riferisce all’eredità neofascista? «Sì, e ritengo che non sia stata né sufficientemente elaborata, né criticamente affrontata». L’inchiesta di Milano sembra avvalorarlo. «Temo che non possa diventare premier. All’indomani della sua vittoria alle politiche comparirebbe subito una svastica sulla sinagoga di Roma, l’Anpi e i centri sociali insorgerebbero, e a quel punto sarebbe costretta a fare un passo indietro. Giorgia mi ha scritto una mail per dirmi che però sottovaluto il suo partito». Cosa ha risposto? «Per il momento non vedo motivi che lo rendano particolarmente affidabile». Cosa pensa di quel che sta venendo fuori dall’inchiesta di Fanpage? «Non ho visto il video, ma mi dicono che l’eurodeputato Fidanza è tutt’ altro che uno sprovveduto. Il retroterra che rivela è piuttosto melmoso, del resto quel tipo di cultura è abbastanza diffusa in Fratelli d’Italia». Non è preoccupante per un partito che vuole andare al governo esaltare il saluto romano? «Sì, ma sono episodi avvenuti in un ambiente chiuso: sono un segno di aggregazione». Non è troppo morbido con chi ha nostalgia del Ventennio? «Non sono affatto morbido. Ma trovo quei gesti suscettibili di storicizzazione e in quel contesto rappresentano un riconoscimento di fratellanza. Vorrei capire cosa significhino criticamente». Cosa pensa di Roberto Jonghi Lavarini, il Barone nero? «Con quel nome da lavatrice se lui è nobile io sono il re di Spagna». Può un partito annoverare simili esponenti? «Penso che se davvero dovesse andare al potere dovrebbe operare una scelta molto rigorosa: non so in che misura le sarà possibile». Il Barone nero è stato condannato per apologia del fascismo. Non è grave? «Temo che codesto signore non supererebbe un esame di primo corso sulla storia del fascismo». Lei è stato missino? «Sono stato iscritto al Msi dal 1953, avevo tredici anni, fino al 1965. Me ne andai per amore di Fidel Castro. E qualche saluto romano l’ho fatto pure io e viste le circostanze non me ne pento». Poi è cambiato? «Sono sempre stato uno sfasciacarrozze. Un reazionario rivoluzionario. Ma il Msi rispetto a Fratelli d’Italia era l’accademia». Che destra rivela la vicenda di Milano? «Oggi i neofascisti sono netta minoranza in Fratelli d’Italia. Mi riferisco soprattutto agli elettori. I più sono ceto medio, operai e sottoproletari, gente che chiede a Meloni protezione: dall’invadenza della Ue, dalle tasse del governo e dalla globalizzazione». Perché allora Fratelli d’Italia fatica a dirsi antifascista? «Sul fascismo storico i pareri in Italia sono molto vari. Resta il fatto che è un problema politico: i problemi politici non si affrontano mai con un giudizio assoluto, negativo o o positivo che sia. Servono memoria, informazione, senso critico».

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