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giovedì 16 Gennaio 2025 - 17:16
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LA CORSA AL QUIRINALE: IL FATTO CONTRO DRAGHI

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Salvini dice che lo tirano per la giacchetta, Il Fatto, con Luca De Carolis, sostiene invece che Draghi vuole essere eletto al Quirinale. E che si sta già muovendo.

«Ne parlano tutti i politici di prima e anche seconda fascia, ovunque. Perché siamo entrati nel semestre bianco, certo, cioè in quei sei mesi in cui le Camere non possono essere sciolte. E poi in agosto il Parlamento è chiuso e allora spesso lì si va a parare, alla partita di medio termine. Ma dietro al rincorrersi di dichiarazioni sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica c’è anche il silenzioso muoversi dell’attuale presidente del Consiglio, Mario Draghi. Zitto in pubblico, ma cautamente attivo dietro le quinte, e questo i sismografi dei partiti lo hanno percepito. Sanno, o almeno pensano di sapere, che Draghi ci pensa, al cambio di Palazzo. Qualche voce anonima quanto di peso, raccolta tra Pd e M5S, arriva a dire che l’ex presidente della Bce “ci crede”, insomma ci punta. E forse è un po’ troppo. Però qualcosa c’è, dietro il bel tacere di Draghi. E lo racconta un veterano dem, uno di quelli con antenne potenti: “Fino a qualche settimana fa il premier era inaccessibile ai più, parlava solo con i pesi massimi. Da un po’ di tempo invece sente e qualche volta riceve o fa ricevere dalla sua cerchia leader di partiti e gruppi minori, assieme a parlamentari di medio calibro”. Ascolta e quando può incontra, Draghi. Tiene i rapporti, si mostra disponibile. E sono colloqui in cui parla di tutto tranne che di Quirinale, ovvio. Però preziosi per tenere largo il suo campo di rapporti, che magari un domani potrebbe essere quello da cui attingere i voti per il Colle. “È evidente – continua l’osservatore -che il premier smussa su tutto perché non vuole strappi, e non è solo un tema di maggioranza di governo. Anche perché chi può affondare Draghi?”. Il punto “è il consenso, quello largo, quello che ti serve per il Quirinale”. Comunque da costruire, facendo i conti con una verità evidente: se al Colle andrà l’attuale premier, poi saranno elezioni anticipate. Lo hanno detto dallo stesso palco in Puglia il leghista Giancarlo Giorgetti e il leader dei 5Stelle Giuseppe Conte, con l’avvocato che sabato sera ha inasprito il concetto: “Se diciamo ‘vedo bene Draghi al Quirinale’, rischiamo di destabilizzare questo governo”. Lui, Conte, continua a lanciare segnali in favore di un Mattarella bis (“Il presidente è persona di spessore…”). E figurarsi Enrico Letta, chiaro nel dire che questo governo deve arrivare al 2023. Eppure sono proprio loro, i due leader, l’ago della bilancia. Con un big giallorosa che spiega: “Draghi non può certo fidarsi solo del sostegno di Renzi e Salvini, e magari di Berlusconi. Gli servono numeri più ampi e soprattutto garanzie, affidabilità”. Cioè gli servono i giallorosa, o almeno gran parte dei loro voti. Quindi dovrebbe trattare con Conte. E all’avvocato, nonostante le frasi pro-Mattarella, la prospettiva di un voto anticipato nel 2022 potrebbe piacere, anche per costruire un suo M5S anche e innanzitutto in Parlamento, senza dover aspettare un anno e mezzo: un tempo che può essere lunghissimo, nella politica attuale. Però poi c’è un enigma di nome Letta: segretario del Pd, quindi strutturalmente esposto a tempeste. L’altro uomo che dovrebbe portare voti a Draghi a ottobre si gioca già tutto, non solo nelle amministrative, ma anche nel collegio di Siena e Arezzo per la Camera. Partitaccia, su cui pesa moltissimo il futuro incerto del Monte dei Paschi. E un po’ anche il giocare ovviamente d’ambiguità dei renziani di Iv, che ufficialmente appoggiano Letta, ma nei fatti vai a fidarti. In questo scenario, il Letta che ormai sta quasi sempre a Siena e dintorni ha pensato di presentare un simbolo per le Suppletive dove non c’è traccia dello stemma del Pd. “È per privilegiare l’allargamento e lo spirito della coalizione” ha teorizzato ieri. Niente simboli, solo la scritta Per Enrico Letta su sfondo rosso. E naturalmente lì fuori c’è il primo nemico, Matteo Salvini, che gli cerca il collo: “La sinistra che ha distrutto Mps per la vergogna si presenza senza simbolo”. Di certo dalle urne di Siena passa insomma anche un pezzo della partita per il Colle, perché lo stesso Letta ha ammesso ciò che è innegabile: “Se perdo vado a casa”. Lo sa bene il capo della Lega, che promette campagna di guerra in Toscana. E lo sa anche Giorgia Meloni, ad oggi la più forte nel centrodestra, che di Colle non parla quasi mai, e che voleva e vorrebbe un candidato unitario di centrodestra. Ma il nome va trovato, e la candidatura di Berlusconi di cui ogni tanto vagheggia Salvini è quel che è, un temporeggiare. Così per ora sul tavolo ci sono solo Draghi e Mattarella, che giura di non voler restare ma che tutti danno comunque per favorito. Però anche qui c’è la postilla, perché se l’attuale inquilino dovesse trattenersi al Quirinale, difficilmente potrebbe essere un bis a tempo. Tradotto meglio, “Mattarella a quel punto dovrebbe restare per altri sette anni” è la lettura diffusa. Un’altra variabile, nella scacchiera».

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