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L’ASSALTO A CAPITOL HILL

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Anna Lombardi su Repubblica racconta i lavori della commissione parlamentare Usa 1/6, che si occupa dell’assalto dei trumpiani a Capitol Hill.

«Ho avuto più paura quel giorno, a causa di americani come me, di quando ero in missione in Iraq» piange il sergente Aquilino Gonell, ex veterano dell’esercito poi entrato nel corpo che garantisce la sicurezza del Congresso, evocando davanti alla commissione incaricata di indagare sull’assalto di Capitol Hill dello scorso 6 gennaio – riunitasi lunedì per la prima udienza, trasmessa in diretta tv – come la folla gli spaccò una mano bastonandolo con aste di bandiera, dopo averlo stordito con spray al peperoncino: «Pensai “ecco, morirò oggi cercando di proteggere l’accesso al palazzo”» dice asciugandosi gli occhi. «Fu una battaglia corpo a corpo di tipo medievale » gli fa eco il collega Daniel Hodges: «Mi hanno schiacciato contro una porta a vetri, cercando di strapparmi la maschera antigas. Uno di loro tentò di cavarmi un occhio spingendo il suo pollice contro la mia pupilla. Urlavo di dolore e nessuno aveva pietà». Anzi. Quelli che lui chiama sempre «terroristi» gli urlavano «sei un bianco e stai dalla parte sbagliata, ti ammazziamo». Non trattiene le lacrime neanche l’agente afroamericano Harry Dunn: «Non ero mai stato insultato a quel modo mentre indossavo la divisa: mi dicevano “negro di merda”. Altri incitavano a uccidermi: “Non è un vero americano” ». Poi però alza la testa: «La democrazia è stata più forte di loro. Hanno provato ad abbatterla ma hanno fallito». Micheal Fanone, infine, è paonazzo: «Alcuni dimostranti avevano le bandiere blu pro-polizia» ricorda. «Eppure mi hanno trascinato in mezzo a loro, disarmato, picchiato. Urlavano “ammazziamolo con la sua pistola”». Sbatte il pungo sul banco dei testimoni: «C’è ancora chi dice che le cose non sono state poi così gravi. L’indifferenza da noi subita è vergognosa». Sono davvero drammatiche le dichiarazioni dei quattro poliziotti chiamati ad aprire la sfilata di testimonianze davanti alla commissione incaricata di far luce sul giorno più lungo della democrazia americana. Il goffo ma violento attacco al Congresso, avvenuto otto mesi fa, per tentare di fermare il voto di certificazione della vittoria di Joe Biden alle presidenziali: “vittoria rubata coi brogli” secondo quanto disse quel giorno Donald Trump infiammando la piazza. Certo, l’indagine intende far emergere le falle organizzative che permisero alla folla di entrare fin dentro le aule di Camera e Senato costringendo i legislatori alla fuga. Sapere perché la difesa del palazzo non fu rinforzata pur sapendo della manifestazione. E pure i motivi di ritardo della guardia nazionale, intervenuta soltanto ore dopo. Ma vuol anche svelare le responsabilità politiche. Quelle di certi deputati legati ai complottisti di QAnon come Marjore Taylor Green, vista il giorno precedente insieme ad alcune persone poi implicate nella rivolta, intenta a fargli fare un tour del palazzo. E quelle dell’ex presidente: che ora potrebbe essere sottoposto a “subpoena”, una convocazione d’imperio, cui da privato cittadino potrà esimersi meno facilmente di come fece durante il suo secondo impeachment: quando rifiutò di comparire in aula per parla re di quegli stessi fatti. Tanto più che fin dalle prime testimonianze tutti concordano: «La folla gridava “ci manda Trump”». Ristabilire la verità sui fatti di quella giornata dove morirono cinque persone – l’agente Brian Sicknick e quattro assalitori: Ashli Babbitt, uccisa da un poliziotto con un colpo in petto. E poi Kevin Greson, Benjamin Phillipps e Rosanne Boyland – e altre 140 rimasero ferite è d’altronde lo scopo principale della commissione: visto che da allora i repubblicani hanno provato a sminuire la virulenza di quella giornata, parlando di infiltrati e prendendo pure le difese dei rivoltosi. I dem, in realtà, volevano una commissione bicamerale sul modello di quella dedicata agli attacchi dell’11 Settembre: ma è stata bloccata dai Rep. Si è dunque creato un “select committee”, una commissione speciale alla Camera. Boicottata però dai fedelissimi di Trump dopo che la speaker Nancy Pelosi ha posto il veto a due dei cinque nomi proposti dal leader della minoranza Kevin McCarthy: opponendosi alla presenza, nel comitato, di chi aveva votato contro la certificazione dell’elezione e poi sminuito le violenza (Jim Jordan dell’Ohio e Jim Banks dell’Indiana). Pelosi ha dunque scelto lei, fra le polemiche, due repubblicani che avevano votato a favore dell’impeachment di Trump: Adam Kinzinger e Liz Cheney. «Davvero odiamo i nostri avversari politici più di quanto amiamo il nostro paese e rispettiamo la nostra costituzione?» ha chiesto quest’ ultima nell’accorato discorso introduttivo ai lavori: «Davvero siamo così accecati dalle rivalità politiche da gettare via il miracolo americano?». Una data per le nuove udienze ancora non c’è. Ma non sarà certo la verità su quel giorno a riunificare l’America divisa sul sul suo giorno più lungo».

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