Paolo Di Paolo su Repubblica ricorda Antonio Pennacchi, scrittore scomparso ieri e autore di “Canale Mussolini”, che gli valse il premio Strega.
«Quando si dice che un’opera, un’opera artistica, letteraria, somiglia all’autore, si esagera sempre un po’: per eccesso o per difetto. Nel caso di Antonio Pennacchi, scomparso ieri a 71 anni dopo un malore che lo ha colpito nella sua casa di Latina, c’è invece una corrispondenza piuttosto marcata tra gli umori, la temperatura emotiva dei romanzi e il suo modo di essere: un narratore dentro lo spazio della scrittura e fuori, con le stesse accensioni, lo stesso tono di voce. Che si alza all’improvviso e poi si abbassa di colpo, per sussurrare, quasi borbottare, bofonchiare, e poi tornare su, in un movimento spezzato, vorticoso. Intemperante Pennacchi; insofferente a ogni briglia, combattivo, pressato dall’urgenza di chi si sente investito da un compito anche per conto terzi: il largo, generoso atto di restituzione che la letteratura può essere per chi non ha avuto, non ha forza e spazio per raccontare. È su questo che ha fondato il suo narrare: sull’impeto di chi sente una mancanza e vuole colmarla, sulla necessità di una storia, se non alternativa, complementare. L’epopea dell’Agro Pontino, che ha il suo vertice in Canale Mussolini , premio Strega nel 2010, trae la sua forza non solo da una prospettiva familiare, genealogica, ma anche dalla volontà di dire il troppo poco detto, il troppo poco raccontato. Né prudenza “ideologica” né rispetto di letture dominanti l’hanno condizionato: «Lei dice che la libertà in Italia l’avrebbe levata il fascismo? Ma in Italia non c’è mai stata la libertà, che t’ ha potuto levare il fascismo? », si legge in una pagina di Canale Mussolini . «Ai signori gliel’avrà levata, ma i poveracci non ce l’avevano mai avuta». Il fasciocomunista Pennacchi, per riprendere il titolo del suo romanzo autobiografico del 2003, aveva già per tempo superato blindature, vissuto complesse “conversioni”. Fratello, letteralmente fratello, però molto anomalo, di militanti di sinistra, si iscrive al Msi e ne viene espulso; in divisa di operaio dell’Alcatel di Latina, trova la via del marxismo maoista. Socialista infine, vive la turbolenza politica tra gli anni Settanta e gli Ottanta dal fronte sindacale, anche lì provocando o subendo attriti, baruffe, espulsioni. In un’intervista si definì, usando le parole di sua madre, «catabrighe»: «Non un attaccabrighe. Catare, in veneto, significa trovare. Io uscivo e trovavo le brighe». Ci mette la stessa ostinazione nel trovare uno spazio suo, lo spazio Pennacchi, anche nei territori della letteratura».