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PNRR, ITALIA PROMOSSA NELLA PAGELLA UE

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Oggi Ursula von der Leyen sarà in Italia per ufficializzare l’approvazione europea al Pnrr italiano. La cronaca di Francesca Basso per il Corriere.

«Ci siamo: oggi la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, sarà a Roma per presentare al premier Mario Draghi la valutazione del Pnrr italiano. La «pagella» del nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza ha dieci A, cioè il massimo voto, e una B alla voce «Costi», come i piani degli altri Stati approvati finora. Next Generation Eu entra nel vivo, dopo che la scorsa settimana la Commissione ha anche emesso il primo bond da 20 miliardi. I fondi che saranno messi a disposizione dell’Italia, che è la prima beneficiaria, dalla Recovery and Resilience Facility (RRF) – lo strumento principale di Next Generation Eu, il pacchetto di aiuti da 800 miliardi in prezzi correnti – ammontano a 191,5 miliardi tra sovvenzioni e prestiti, che Roma dovrà impiegare entro il 2023 e spendere entro il 2026. Ma per avere i circa 25 miliardi di pre-finanziamento è necessario che il Consiglio dia a sua volta il via libera sulla base della proposta della Commissione (è atteso nell’Ecofin del 13 luglio) e che vengano firmati i financing agreements tra Commissione e governo nazionale. Il Recovery plan è un «tassello decisivo» per l’uscita dalla crisi, ha osservato il ministro dell’Economia Daniele Franco: «La sfida è ora quella di realizzarlo», si tratta di «uno sforzo senza precedenti». Nessun Paese finora è riuscito a rispettare le indicazioni della Commissione sulla definizione dei costi delle misure: giustificare costi di investimenti futuri per portare avanti le rivoluzioni ambientali e digitali non è cosa semplice, le stime si sono basate su misure simili. I primi a ricevere semaforo verde dalla Commissione sono stati mercoledì scorso i piani di Portogallo e Spagna, cui sono seguiti quelli di Grecia, Danimarca, Lussemburgo. Ieri Austria e Slovacchia. Oggi oltre al piano italiano, luce verde anche per quello tedesco e lettone».

Ma chi pensa al lavoro? Norma Rangeri per il Manifesto.

«Molti considerano Mario Draghi una specie di taumaturgo capace di traghettarci fuori dal disastro economico -sociale aggravato dalla tragedia della pandemia. Di sicuro si tratta di una persona preparata, capace di scelte economiche espansive e drastiche (come ha dimostrato nel corso degli ultimi anni in cui ha guidato la Bce). Tuttavia la sua è una storia tutta interna al capitalismo e certamente il lavoro non è la sua barra perché a indicargli la rotta sono gli investimenti, gli interessi, il Pil, il rating nazionale, le aziende (che infatti gli esprimono un alto gradimento, inversamente proporzionale all’opposizione riservata al governo Conte). Non si può chiedere a chi ha nel suo Dna una formazione, un’esperienza, una credibilità apprezzata dalle banche e nel concerto internazionale, di stravolgere la propria immagine, indossando la tuta da lavoro. Semmai questa ipotetica tuta dovrebbe indossarla il Partito democratico, che, viceversa, appare sempre più coinvolto nelle logiche di potere che stravolgono chi è abituato a stare da troppo tempo nelle stanze dei bottoni, dove conta soltanto la capacità di decidere, influenzare. E di vincere (sempre meno) la battaglia del potere. Il lavoro è, dovrebbe essere, comunque la chiave di volta politica, sociale, economica, perfino culturale di un partito che dice di difendere questo mondo. Però così non è».

Luciano Nigro per Repubblica ha intervistato Romano Prodi. Temi: l’Italia promossa, Draghi e Mattarella, il Pd di Letta. Soprattutto il Pnrr.

«Se sarà approvato, come credo, sarà un passo avanti importantissimo. Quel piano è la condizione necessaria per la ripresa. Guai, però, se lo considerassimo la soluzione di tutti i problemi». Vuole dire che non bastano 235 miliardi complessivi? «Voglio dire che per attuare quei progetti occorre un cambiamento radicale del nostro Paese. E non intendo soltanto le riforme che ci siamo impegnati a realizzare: la pubblica amministrazione, il fisco e la giustizia che attendono da decenni. È l’intero sistema produttivo che va trasformato in profondità». Non solo la politica: deve cambiare anche l’economia? «Sicuro. Se pensiamo di fare la rivoluzione ecologica comprando la tecnologia in Cina, le fabbriche chiudono e la gente prende i forconi. Per questo serve un balzo di tutta la nostra struttura produttiva. Il mondo sta cambiando con grande rapidità e dopo la pandemia lo farà ancora più velocemente». Si riferisce all’America di Biden? «Gli Stati Uniti stanno investendo 6 mila miliardi di dollari, infrastrutture comprese, con un obiettivo radicale: ridurre le diseguaglianze. Un passaggio inedito. Finora Clinton e Obama, al massimo proponevano cambiamenti parziali, come la riforma sanitaria. Con Biden c’è qualcosa di diverso: una reinterpretazione del welfare, della redistribuzione della ricchezza, di un intervento pubblico in economia… Se Dio vuole dopo 40 anni di liberismo assoluto e selvaggio assistiamo, proprio in America, a una svolta radicale». Biden chiede però all’Europa di fare una scelta tra Usa e Cina. «Non possono esserci dubbi sulla vicinanza dell’Europa con gli Usa, dal punto di vista militare, politico e dei valori. Ciò non toglie che abbiamo anche interessi diversi e, insieme ad altri Paesi europei, non si possa dialogare con la Cina. Pechino però non può pensare di dettare legge. La Via della Seta, per esempio, era una bella idea, ma richiedeva un ruolo ben più attivo dell’Europa». Come vede l’Italia in questo momento? «Come un Paese che ha mille problemi da risolvere, ma finalmente può riprendere a correre mettendosi in contatto con il mondo che cambia. La mia fiducia nasce anche dal fatto che ritengo l’Italia ben rappresentata da Mattarella, Draghi e Letta». Si sente rappresentato anche dal Pd e dalle sue primarie? È scorso il sangue come lei aveva notato avviene in ogni consultazione? «Intendevo dire che le primarie funzionano quando c’è battaglia di idee. Domenica, soprattutto a Bologna, c’è stato un bel contrasto. C’è chi parla di crisi dei gazebo del Pd, ma la crisi vera è quella della democrazia. Guardate alla Francia dove domenica ha votato solo un terzo degli elettori. In questo contesto le nostre primarie sono ancora un miracolo. A Bologna hanno votato in più di 26.000: un quinto di quanti andranno a votare per il centrosinistra ad ottobre. Poi, certo, sulle primarie si può discutere e sicuramente vanno regolamentate». A Roma, però, il Pd avrà per avversari anche Raggi e Calenda. Sul fronte delle alleanze Letta incontra parecchi ostacoli mentre il centrodestra si presenta unito. Tanto che Berlusconi parla già di un Partito repubblicano modello Usa per l’Italia. «Partito repubblicano come negli Stati Uniti? E chi si trasforma in Trump? Meloni o Salvini?». Le difficoltà che oggi incontra Letta a sinistra sembrano ancora maggiori. «Letta ha cominciato da poco, in una situazione difficile, ma sta facendo bene. Del resto non è detto che la coalizione debba funzionare in tutte le città. Le autonomie locali, si chiamano appunto autonomie. Quel che conta è trovare un accordo generale per le elezioni politiche». Per farlo, il segretario del Pd ha bisogno di rifondare un partito diventato un insieme di correnti. Ci riuscirà? «Ci riuscirà se partirà da una solida base programmatica e se farà un grande appello alla base. Lo spazio c’è e c’è bisogno di una nuova linea. Il mondo sta cambiando. Guardate ancora gli Stati Uniti, dove Biden sta correggendo l’iniqua distribuzione dei redditi in un Paese dove di fatto i super ricchi non pagano le imposte». Le prime scelte del segretario del Pd, dallo Ius soli alla tassa di successione sui grandi patrimoni, non sembrano tuttavia molto popolari. «Delle sue proposte è stato colto solo un aspetto e in modo strumentale. Sappiamo tutti che in Italia chi parla di tasse perde le elezioni. Ma quello che ha in mente Letta è un’altra cosa: è un disegno di giustizia sociale. E credo che questo la gente lo capisca».

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