I problemi reali del Paese sono anche altri. Avvenire sottolinea un rapporto choc, secondo il quale un milione di bambini, di origine straniera, sono in Italia in cerca di educazione e cittadinanza. Fulvio Fulvi:
«Sono più di un milione i minori di origine straniera residenti nel nostro Paese. Un numero in crescita (+15,6% tra il 2012 e il 2018), a fronte di un forte calo generalizzato della natalità. Si tratta di bambini e ragazzi – l’11% dei minorenni che vivono in Italia – che, nella stragrande maggioranza, frequentano la stessa scuola dei loro coetanei italiani, parlano la medesima lingua, giocano insieme, hanno uguali speranze, paure e fragilità legate all’età. Ma, in base alla legge, non possono essere cittadini italiani. Molti di loro sono arrivati in Italia solo dopo la nascita, altri, quelli di “seconda generazione” sono nati sul suolo italiano da genitori stranieri. E poi ci sono i minori non accompagnati, bisognosi di una specifica assistenza. Tra le Regioni, la presenza di stranieri che hanno un’età compresa tra gli 0 e i 17 anni è diffusa soprattutto nel centro-nord e nelle città piuttosto che nei piccoli paesi: superano il 16% dei residenti in Emilia-Romagna e Lombardia, toccano il 14,5% in Toscana e il 13,7% in Piemonte, Veneto e Liguria. La provincia con la più alta concentrazione di bambini e adolescenti è Prato, con il 28,8%. Se si tiene conto inoltre che il 31,2% delle famiglie di stranieri con figli minorenni si trovano in povertà assoluta (la media nazionale, su dati 2019, è del 9,7%) ecco un’altra emergenza educativa a cui si deve far fronte. “Una sfida dell’inclusione”, la definisce in un’anticipazione di Avvenire il rapporto curato da “Con i bambini-impresa sociale” e Fondazione Openpolisnell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. «L’integrazione è un vantaggio per tutti, non solo per i bambini e le famiglie straniere – è scritto nella ricerca – perché una società più inclusiva significa meno conflitti sociali e culturali e un miglioramento del clima di convivenza nel Paese». Fallire la sfida, si precisa nel documento, può comportare allora gravi conseguenze: meno opportunità per chi è rimasto fuori dai percorsi educativi, redditi più bassi, maggiori diseguaglianze e, non ultimo, il rischio di segregazioni e marginalità. Nuovi ghetti, insomma. La scuola, l’istruzione di qualità, diventano quindi essenziali. E se è vero che al crescere del titolo di studio aumentano le possibilità di occupazione, due dati del Report fanno riflettere: il 36,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni senza cittadinanza italiana ha lasciato la scuola prima del tempo contro una media del 13,5% e solo il 24,4% degli alunni delle superiori con cittadinanza extra-Ue frequenta il liceo, a fronte del 48,8% degli italiani. Inoltre, l’abbandono scolastico, secondo lo studio elaborato da Openpolis-Con i bambini, fenomeno che in Italia tra il 2004 e il 20219 ha segnato un calo generale del 9,6%, «è il sintomo più evidente di un processo di inclusione che rischia di lasciare fuori ancora troppi ragazzi». E tra i giovani stranieri il tasso di interruzione degli studi rimane 3 volte superiore rispetto a quello degli italiani: è un aspetto, questo, che incide sulla possibilità di integrazione perché la scuola è il luogo naturale non solo per apprendere la lingua ma anche per sviluppare una rete di socialità e di amicizie, necessità ancora più sentita per chi viene da Paesi lontani e ha contatti solo con la famiglia e la propria comunità di origine, quando c’è».