Finalmente siglato l’accordo per la Striscia: da domenica cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi. Si spera dopo tanti morti e distruzioni. Trump rivendica l’esito. Meloni ad Abu Dhabi. Zaia furioso
L’annuncio è stato dato da Doha, sede dei negoziati, e da Donald Trump, che ha preceduto Joe Biden. È stato raggiunto l’accordo fra Hamas e Israele per la tregua nella Striscia di Gaza e per il rilascio degli ostaggi. Il cessate il fuoco non comincia subito ma da domenica. Si hanno davanti tre giorni rischiosi, come spesso accade in queste situazioni ma l’annuncio ha fatto gioire la popolazione palestinese superstite e ha fatto sperare i familiari degli ostaggi israeliani che dovranno essere rilasciati nei prossimi giorni. Come da indiscrezioni, l’accordo prevede tre fasi: lungo 42 giorni a partire da domenica 19 gennaio saranno rilasciati tutti gli ostaggi sequestrati il 7 ottobre del 2023 da Hamas, vivi o morti, e nello scambio saranno liberati migliaia di detenuti palestinesi. I termini del patto sono praticamente gli stessi sul tavolo da otto mesi. Che cosa è cambiato? Come ha scritto Haaretz, senza che sia stato smentito, è stato l’inviato informale di Donald Trump a convincere Benjamin Netanyahu. È quello che il New York Times ha descritto come il “paradosso di Trump”: per piegare l’estremismo di destra nel governo israeliano ci voleva The Donald. Del resto il ministro della Sicurezza nazionale Ben Gvir, esponente dell’estrema destra israeliana e alleato del premier, contrario fino all’ultimo alla tregua, ha ammesso: «Nell’ultimo anno, attraverso il nostro potere politico, siamo riusciti a impedire, ripetutamente, che questo accordo venisse portato a termine». Si sarebbero potuti evitare “mesi di detenzione per gli ostaggi e di stragi per i palestinesi di Gaza”, scrive Nello Scavo per Avvenire. È vero. Ma oggi, come sostiene Tommaso di Francesco sul Manifesto dobbiamo leggere questa tregua nella chiave della speranza. E chiedere l’aiuto per chi soffre. “Se è vera tregua”, scrive Di Francesco, “un popolo intero deve pretendere e ottenere solidarietà. Non l’elemosina televisiva dei governi che sono stati zitti e complici. I bisogni umanitari dovranno essere soddisfatti”. I conti di tredici mesi di guerra sono spaventosi: fra gli israeliani 1400 persone morte e almeno 240 rapite in un solo attacco terroristico; fra i palestinesi 46 mila morti, 110 mila senza casa, due milioni e 200mila persone sfollate o trasferite o fuggite in Egitto.
Benjamin Netanyahu avrà il suo tornaconto. Del resto proprio in queste ore il ministro degli Esteri di Tel Aviv Gideon Saar ha assicurato che Benjamin Netanyahu non sarà arrestato se metterà piede a Roma, nel nostro Paese. Nonostante il mandato di cattura internazionale della Corte dell’Aia per crimini di guerra. Allo stesso tempo Trump si presenterà lunedì all’Inauguration day di Washington con una “guerra finita” e alla vigilia dei colloqui sull’Ucraina. A Mosca, infatti, c’è un altro leader, Vladimir Putin, rincorso dalla Corte penale dell’Aia, ansioso di rientrare nel consesso internazionale.
Al di là della geopolitica e della logica dei Grandi della Terra, ci sono poi due popoli in Terra Santa che dovranno tornare a considerarsi, se non a collaborare, almeno a non uccidersi a vicenda. Sarà un processo lungo e difficile, non c’è da farsi illusioni, ma è l’unica strada. Come ripete oggi in una bella intervista alla Stampa la poetessa, reduce da Auschwitz, Edith Bruck.