La campagna vaccinale prosegue spedita ma resta forte la sensazione che ogni Regione vada per suo conto. Paolo Russo su La Stampa parla di “Babele dei vaccini”:
«Lo strappo destinato a fare più rumore lo ha dato il Lazio, che infischiandosene delle indicazioni del ministero della Salute e delle «raccomandazioni» di Aifa e Cts ha ripreso a somministrare AstraZeneca e Johnson&Johnson agli under 60. Nonostante il rapporto rischio-beneficio rispetto al contagio da Covid sia sfavorevole ai vaccini a vettore virale. Ma non è che le altre Regioni si siano tutte allineate al generale Figliuolo, che più e più volte ha chiesto di privilegiare i richiami soprattutto alla popolazione da sessant’ anni in su. Perché se la Lombardia ha deciso di privilegiare la caccia agli over 60 rimasti fuori dai radar e il Friuli-Venezia Giulia punta a convincerli a mostrare il braccio offrendo loro i più gettonati antidoti a Rna messaggero, altre Regioni vanno in direzione opposta. Come la Campania, che vuole completare la vaccinazione dei giovanissimi under 18. O la Sicilia, che i vaccini ora li andrà a somministrare sotto l’ombrellone ai vacanzieri di luglio. Ancora una volta la babele vaccinale regna sovrana sotto il cielo delle Regioni. E con la Delta in espansione rapida vaccinare i più piccoli può essere un problema se le dosi scarseggiano e più del 45% della popolazione generale, ma soprattutto il 48% degli over 60 rischiano anche con una sola dose di finire in ospedale o peggio. Tanto per capire la Gran Bretagna che viaggia al ritmo di circa 25 mila contagi al giorno può ora permettersi il lusso di riempire lo stato di Wembley e togliere le mascherine anche al chiuso perché con quasi il 65% di vaccinati a doppia dose ha praticamente protetto tutte le fasce a rischio della popolazione. E infatti ricoveri e decessi si mantengono a un livello così basso che il virus da pandemico può oramai definirsi endemico, un po’ come l’influenza. Da noi l’effetto Delta sui contagi ancora non si vede. Ieri se ne sono contati solo 480, ma questo sabato, domenica e lunedì il numero dei nuovi positivi è comunque del 10% superiore a quello di una settimana fa. Per questo la corsa a vaccinare gli over 60 è considerata prioritaria da Speranza e Figliuolo. Intanto però le Regioni procedono in ordine sparso, pur lamentando un taglio tra il 30 e il 40% delle dosi di luglio che costringe a fare delle scelte. Lazio La Regione ha deciso di ignorare gli appelli di Figliuolo, Cts e Speranza tornando a puntare su AstraZeneca e J&J anche tra i più giovani. Prima ha sdoganato gli open day a partire dai 18 anni con il vaccino adenovirale J&J, che pure l’Aifa e il Cts hanno raccomandato di non somministrare agli under 60. Poi ha deciso di incentivare questi ultimi a utilizzare ancora AstraZeneca per i richiami, anticipandoli a 56 anziché a 77 giorni. Mossa che, evitando a molti di dover tornare dalle vacanze di agosto per la seconda dose, potrebbe rivelarsi più efficace dello scetticismo che in tutta Italia, e il Lazio non fa eccezione, ha finito per lasciare nei frigo 2,4 milioni di dosi di vaccini a vettore virale, equamente divisi tra J&J e Az. In realtà in questo modo la Regione non ha formalmente trasgredito alle ordinanze ministeriali, che a chi ne faccia richiesta e dietro parere medico consentono di vaccinarsi anche sotto i sessant’ anni con due dosi del vaccino di Oxford. Ma quello di ridurre i giorni di attesa per il richiamo è stato letto come un trucchetto da virologi e epidemiologi che hanno aspramente criticato la decisione della Regione. In Lombardia un over 60 su dieci, 286 mila persone, il vaccino non lo ha nemmeno prenotato e il 41% di ultrasettantenni e sessantenni è coperto con una sola dose, facilmente perforabile dalla Delta. Per questo la Regione ha deciso di dare la caccia ai renitenti della vaccinazione mobilitando anche i medici di famiglia. Il problema è che i vaccini scarseggiano e le agende sono piene fino al 20 luglio. In Piemonte da un lato si tenta di accelerare con i richiami per alzare un muro più solido contro l’ex indiana. E per farlo la Regione ha deciso di concedere a chi lo richieda di anticipare o posticipare il richiamo, pur rispettando i tempi massimi e minimi di intervallo previsti. Un modo per tranquillizzare chi non vuol correre il rischio di dover rientrare dalle vacanze per la seconda dose. Dall’altro però pur mancando all’appello dei vaccinati 208 mila over 60 su 580 mila, si è deciso a metà luglio di far partire dai pediatri le immunizzazioni degli under 16. Toscana. Il presidente Giani per luglio non vede in arrivo più di 650-700 mila dosi rispetto alle 900 mila di giugno. Nonostante tutto però annuncia: «Dopo Ferragosto attiviamo le vaccinazioni dei bambini dai 12 ai 15 anni». Sperando che per quella data siano stati messi a riparo gli anziani che rischiano di più. Emilia-Romagna. Il presidente Bonaccini spera ancora di spuntare più dosi da Figliuolo. Ma per ora il piatto piange e tra le 30 e le 50 mila prime dosi già fissate in agenda potrebbero slittare, lasciando scoperti anche gli over 60. Liguria. La Regione segue il dettato di Figliuolo e punta sugli over 60, ma lo fa con «la notte del vaccino» e altri open day a base di dosi Pfizer e Moderna per riportare sotto i radar il popolo degli scettici. Campania. De Luca lamenta un taglio del 40% delle dosi Pfizer. Ma poi annuncia: «Prepareremo entro questa settimana un piano di vaccinazione straordinario per la popolazione studentesca, completando entro luglio l’immunizzazione degli under 18». Puglia. Con 423 mila dosi in meno di Pfizer la Regione ha deciso lo stop alle prime dosi ma solo per gli under 50. Che probabilmente verranno chiamati a mostrare il braccio in pieno agosto. Sicilia. Le prenotazioni in città crollano, con 370 prenotati venerdì alla Fiera di Palermo contro la media di oltre 4 mila. Così la regione ha deciso di portare la campagna vaccinale sotto gli ombrelloni, firmando un protocollo con i gestori degli stabilimenti balneari. Se poi la voglia di tintarella non sarà contagiosa tra gli anziani non vaccinati dovrebbero intervenire i medici di famiglia. Sempre che avanzino dosi anche per loro».
Incombe ancora sulla scuola la spada di Damocle della DAD: i problemi strutturali non sono stati affrontati in vista del nuovo anno. Alessandra Ziniti su Repubblica.
«La maledizione della Dad minaccia la scuola di metà settembre (prossimo), così simile e conseguente al 2020 azzoliniano e alla prima parte del 2021, condotto in fotocopia dal ministro Patrizio Bianchi. Dal Campus Steam di Bergamo il responsabile dell’Istruzione auspica e fa training: «Lavoriamo per la scuola in presenza, senza se e senza ma». Ma il “ma” è già proprietà di dirigenti e docenti di una scuola che fin qui non ha imparato nessuna lezione. Dopo l’ultimo pronunciamento del Comitato tecnico scientifico – «mascherine e distanziamento, a settembre», Mario Rusconi, responsabile dei presidi Anp nel Lazio, trae le logiche conclusioni: «Questo implica che gli studenti dovranno essere nuovamente impegnati nella Dad. È possibile non essere riusciti a trovare soluzioni alternative in questo anno e mezzo? Le istituzioni comprendono i danni che stanno facendo alle giovani generazioni? Siamo molto delusi, non si è riuscito a trovare rimedio alle aule pollaio e al movimento sui mezzi pubblici». I numeri degli iscritti alle classi sono sempre quelli, nessuna Protezione civile ha alzato tendoni e recuperato spazi extra, nessuna idea degna di nota è uscita dal rapido rapporto tra Patrizio Bianchi e Agostino Miozzo. L’ex responsabile del Cts è uscito di scena con i suoi progetti e ora dice, a sua volta sconsolato: «Settembre è dietro l’angolo e al momento si prevede un altro anno scolastico in emergenza». Nella fascia 12-19 anni «abbiamo l’82,6% non vaccinato». Sono i ragazzi delle scuole. «Non abbiamo fatto interventi strutturali negli istituti, se non li facciamo in questi mesi estivi i problemi saranno gli stessi dell’anno scorso». Rachele Scandella, preside dell’Alberghiero Barbarigo di Venezia: «Spero che si facciano i vaccini a tutti e si riprenda al 100%, altrimenti metteremo i banchi a rotelle in Piazza San Marco». Albalisa Azzariti, dirigente del Liceo scientifico Vittorini di Milano: «Dover mantenere il metro di distanza nonostante le vaccinazioni è sconfortante. Come scuola ci siamo impegnati profondamente per promuovere l’adesione alla campagna. Gli spazi sono sempre gli stessi e le classi numerose, per noi questo significa continuare con la presenza al 50% in ogni classe. Sarà difficile spiegarlo ai ragazzi, vorrà dire ammettere che l’essersi vaccinati non fa differenza. Con il green pass si può andare in discoteca, ma non a scuola». I presidi della provincia di Monza-Brianza rivelano: «Il prefetto ci ha anticipato che faremo i turni d’ingresso alle 8 e alle 9, immaginiamo una Dad al 25-30% fino a Natale». Ripartire nello stesso modo precario delle ultime due stagioni mentre «stiamo svolgendo il Piano Estate per favorire la socializzazione» è disarmante, dicono. Sara Carnelos, insegnante di Pordenone: «Le classi vanno sdoppiate e il numero dei docenti deve essere incrementato. È il terzo anno che lo spieghiamo». Ivan Basile, docente molisano di scuola superiore: «Si riparte con la Didattica integrata istituzionalizzata». I genitori No Dad sono pronti a nuove manifestazioni: «È un tradimento». Le primarie e gli istituti comprensivi riusciranno a mantenere tutti gli alunni in presenza, ma con gli under 12 privi di vaccinazione questa coorte anagrafica resta la più esposta. Per tecnici e licei sarà un’altra partenza con alcuni ragazzi davanti al pc in cameretta. Alfonso D’Ambrosio, preside sperimentatore di Vo’ Euganeo, ricorda l’ultima mancanza sul tema: «I fondi del Decreto sostegni possono essere investiti su sistemi di sanificazione più efficienti e aule all’aperto più efficaci». Se ne parla, al ministero, se ne parla. La questione vaccinazioni è centrale: al netto della variante Delta, che può ulteriormente complicare il ritorno a scuola, serve correre e immunizzare».
Il premier inglese Boris Johnson ha deciso di riaprire tutto. Nonostante le varianti. Ma la sua sembra più che altro una posizione politica. Per il Manifesto Leonardo Clausi da Londra.
«Con buona pace della variante Delta che continua a diffondersi, l’immunità è raggiunta, e il gregge libero di pascolare di nuovo: dal prossimo 19 luglio in Gran Bretagna tornerà il business as usual, anche se a questo proposito la comunità medico scientifica è spaccata. È in buona sostanza l’annuncio di ieri del premier britannico Boris Johnson sul mantenimento della data del 19 luglio come riapertura totale delle attività economiche e culturali nel paese a coronamento della fase 4 del programma governativo di ritorno alla «normalità». Che contiene la concessione più desiderata come anche più controversa: il passaggio dall’obbligatorietà della mascherina nei luoghi pubblici – la violazione di questa misura prevedeva una multa fino a circa 7mila euro – al demandarne la scelta («al buonsenso») individuale, soprattutto sui mezzi pubblici e nei negozi. Altre misure includono la fine del distanziamento di un metro nei luoghi pubblici, del lavoro da remoto, degli incontri limitati a un massimo di sei persone, del numero chiuso nei locali pubblici come anche la fine delle «bolle», i gruppi limitati di studenti nelle scuole, la riapertura degli istituti. Ai microfoni di Bbc Radio un esperto ha detto testualmente che togliere l’obbligo di mascherina nei luoghi pubblici «non ha senso», vista la loro comprovata efficacia nel ridurre lo spettro dell’infezione. E come lui svariati altri virologi non facenti parte del comitato governativo di esperti. Si associano i sindacati, soprattutto quello di Transport for London, l’azienda municipale dei trasporti che si oppone vivacemente alla misura in quanto metterebbe sensibilmente più a rischio la salute dei conducenti di autobus e del personale della metropolitana. Sulla questione pro o contro il continuativo utilizzo della mascherina si sono poi espressi contraddittoriamente altri ministri, finendo così per aumentare la confusione in materia. Non sfugga poi il demandare all’arbitrio individuale una scelta che comporta la sicurezza degli altri, la solita deliberata sperequazione fra diritti (propri) e doveri (altrui) nella quale da sempre sguazza il partito conservatore».