Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera torna sull’omicidio di Pier Santi Mattarella, perché la Commissione antimafia ha desecretato solo da ieri il verbale della sua audizione parlamentare, resa nel 1990. Falcone e la vedova, testimone oculare dell’attentato, hanno sempre pensato che il killer fosse Giusva Fioravanti, terrorista nero. Falcone ne era sicuro ancora dieci anni dopo ed era convintissimo dei “mandanti esterni” alla stessa Cupola per quell’omicidio politico. Tommaso Buscetta, dopo la strage di Capaci e la morte del giudice, scagionerà Fioravanti e i terroristi neri.
«Un delitto di mafia rimasto misterioso perché dentro la mafia qualcuno l’ha deciso e organizzato senza coinvolgere tutto il vertice di Cosa nostra, in quel momento già spaccato tra «palermitani» e «corleonesi». Dieci anni dopo l’assassinio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella – il 22 giugno 1990, davanti alla commissione parlamentare antimafia – Giovanni Falcone dava questa lettura del più dirompente ed enigmatico omicidio politico-mafioso commesso negli anni della «mattanza» che decapitò le istituzioni sull’isola: una esecuzione affidata a killer esterni, sostenne l’allora procuratore aggiunto di Palermo, in quel momento convinto della «pista nera» che portava ai neofascisti dei Nuclei armati rivoluzionari, «con dei mandanti sicuramente all’interno della mafia, oltreché ad altri mandanti evidentemente esterni». Non solo Cosa nostra, quindi. Di qui la necessità di affidarsi a sicari arrivati da fuori, che Falcone pensava di aver individuato in Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, poi assolti. Ma altri killer non sono stati individuati, e il mistero resta, come le considerazioni di Falcone rimaste finora chiuse nei cassetti dell’Antimafia e desecretato solo ieri, su decisione unanime della commissione. «Buscetta ha riferito una cosa estremamente importante – racconta Falcone nell’audizione a cui partecipano anche altri rappresentanti degli uffici giudiziari palermitani, ma le domande sono quasi tutte per lui -. Nell’omicidio Mattarella vi era una concordia di fondo di tutta la commissione sull’eliminazione, nel senso che non interessava a tutti più di tanto che rimanesse in vita; però nel momento più acuto della crisi, che poi sarebbe sfociata l’anno successivo in una guerra di mafia molto cruenta, ognuno aveva paura di fare il primo passo, e Stefano Bontate aveva preferito stare alla finestra nel senso di disinteressarsi delle vicende di Cosa nostra per poter poi contestare dall’opposizione certe vicende all’interno dell’organizzazione. Se per l’omicidio Mattarella fossero stati utilizzati killer mafiosi, in due secondi chiunque all’interno di Cosa nostra avrebbe saputo chi aveva ordinato l’omicidio del presidente Mattarella». L’allora deputato Giuseppe Azzaro, democristiano e siciliano, chiede allora se non sia plausibile che il mandante fosse un solo boss, ma Falcone ribatte: «È assolutamente impossibile, perché l’uccisione di Mattarella presuppone un coacervo di convergenze e interessi di grandi dimensioni». (…) Tuttavia Falcone ribadisce la sua convinzione sulla responsabilità dei terroristi neri, e dei depistaggi messi in atto da una parte della mafia: i «corleonesi». All’inizio, confessa, pensava che la pista neofascista fosse un depistaggio, ma poi aveva trovato i riscontri. Non ultimo il riconoscimento di Giusva Fioravanti da parte della vedova Mattarella, al fianco del marito al momento del delitto, che al contrario aveva escluso altri ipotetici killer mafiosi. Compreso quel Salvatore Inzerillo che l’ex poliziotto passato ai servizi segreti Bruno Contrada (poi condannato per concorso in associazione mafiosa) gli mostrò in fotografia durante una trasferta londinese. Tuttavia, dopo la strage di Capaci, fu lo stesso Buscetta a scagionare i «neri» dal delitto Mattarella, imprimendo una svolta che portò alla loro assoluzione su richiesta della stessa Procura».

Articoli correlati