Inizia la tregua: primo scambio di donne e bambini. Hamas coi mitra, israeliani con gli striscioni. Il Papa: grazie a chi media. Oggi Inauguration Day per Trump, arrivata Meloni. Avvertita Ursula
Oggi è il Blue Monday, statisticamente il momento più depresso dell’anno, eppure come dice in un bel titolo Repubblica è arrivato ieri “un giorno di pace”. Il primo in Medio Oriente dopo 471 giorni da quel maledetto attacco terroristico di Hamas, il 7 ottobre. È una tregua fragile, il cui inizio è slittato di 3 ore, tempo nel quale 19 palestinesi sono rimasti uccisi. Poi la liberazione delle prime tre donne ostaggio: con lo sfoggio dei pick up tirati a lucido dei miliziani di Hamas travisati, la consegna alla Croce Rossa e infine il ritorno a casa. Quasi contemporaneamente la liberazione di donne e bambini palestinesi che erano detenuti: fatti salire su un autobus per la Cisgiordania ma costretti a leggere lo striscione scritto da alcuni secondini. Che riportava un Salmo: “Ho inseguito i miei nemici e li ho catturati”. Liberazioni e propagande di chi promette ancora guerra: coi mitra e le divise verdi di Hamas o con lo spirito di vendetta, dai toni fondamentalisti.
Grazie ai mediatori, grazie a chi vuole la pace, ha detto dalla finestra di San Pietro papa Francesco durante l’Angelus di ieri. Grazie a chi cerca di superare il trauma spaventoso di questa lunga guerra che ha contrapposto i due popoli. Ma la profezia della pace del Papa sa di dover fare i conti con una realtà difficile. Ne parla padre Gabriel Romanelli, parroco della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, raggiunto a poche ore dall’inizio del cessate il fuoco da Vatican News. Come commenta Etgar Keret in un articolo sul Corriere: «È impossibile immaginare una realtà post bellica in cui gli stessi leader di Hamas continueranno a governare la Striscia di Gaza, come se non siano stati proprio loro a infliggere morte e devastazione al loro stesso popolo, o come se il governo di Netanyahu e la sua coalizione messianica possano aspirare alla rielezione dopo aver seminato tanto odio e distruzione».
Eppure, il mondo tira un sospiro di sollievo e, senza farsi troppe illusioni, spera che le cose cambino a Tel Aviv e cambino anche a Gaza, se la soluzione come tutti ancora ripetono è quella dei due popoli, due Stati. Per questa soluzione spinge mezzo mondo, certamente nei Paesi arabi, ma ora anche in Occidente con l’elezione di Donald Trump, che ha cambiato la prospettiva americana sulla guerra e sulla pace.