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ROMANZO QUIRINALE

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Comincia a diventare un capitolo fisso dei giornali quello sull’elezione del Capo dello Stato. Due fatti nell’articolo odierno di Maria Teresa Meli per il Corriere: Mattarella ha programmato una visita di congedo a Papa Francesco per la fine del suo settennato. Il guru del pd Bettini, che alla festa del Fatto aveva proposto di eleggere Draghi al Colle, corregge il tiro e si allinea con il segretario Letta.

«Mentre viene resa pubblica la visita «di congedo» di Sergio Mattarella a Papa Francesco, il leader del Pd Enrico Letta lancia una «moratoria sul Quirinale». Il segretario del Partito democratico chiede a «tutti i leader politici» di parlare dell’elezione del presidente della Repubblica «l’anno prossimo, da gennaio, perché se iniziamo a fare giochi politici ora per quattro mesi». È un appello a tutte le forze politiche, ma in realtà Letta si rivolge soprattutto ai suoi. Un po’ come dire «Non aprite quella porta», dato che la partita del Quirinale per il Pd può trasformarsi in un film dell’orrore. Già perché il Partito democratico ha, almeno per ora, un’unica opzione: la rielezione di Sergio Mattarella. Lo ha quasi confessato il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, quando candidamente qualche giorno fa ha ammesso: «Ci vorrebbe un bis di Mattarella». Al Nazareno al momento non c’è un piano B, perché qualsiasi alternativa, come confida un dirigente di primo piano del Pd, «passa per un accordo con la Lega di Salvini, Matteo Renzi e Forza Italia, visto che non si può giocare di sponda con i 5 Stelle, che non appaiono del tutto affidabili». Ed è proprio quello che Letta non vuole assolutamente: dover siglare un patto sul Quirinale con quel Salvini con cui litiga quasi ogni giorno. Ma Mattarella finora ha escluso un suo bis. E ieri la notizia che il capo dello Stato il 16 dicembre vedrà Papa Francesco per una visita di congedo sembra un’ulteriore conferma dell’indisponibilità dell’inquilino del Colle alla rielezione. Tanto che, nella stessa chiave, si possono leggere le future visite di Mattarella in Spagna e Germania. I giochi quindi si fanno complessi per il Pd, che non ha un suo candidato al Quirinale. O, meglio, che ne ha troppi, ma nessuno che sia sceso in campo ufficialmente. Tanto per fare due nomi: il commissario Ue Paolo Gentiloni e il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Letta, che ha deciso di candidarsi in Parlamento, anche per seguire da vicino la «pratica Quirinale», ha invitato i suoi a mettere la sordina al dibattito. E che siano i dem i destinatari del suo appello sembra averlo capito anche Salvini, che ieri ha replicato così al segretario del Pd: «È lui che continua a parlarne, fa tutto lui, probabilmente è la cannabis». Comunque l’appello di Letta è stato colto da Goffredo Bettini, che giorni fa aveva suscitato un vespaio dentro il partito dichiarandosi favorevole all’ipotesi Draghi presidente della Repubblica. L’esponente dem, infatti, ritiene che questa sia una possibilità più che concreta e che il Pd non dovrebbe accodarsi a Salvini, «bensì anticiparlo sostenendo Draghi prima del leader della Lega». Ma capendo le preoccupazioni del segretario, Bettini ieri si è riallineato: «L’appello di Letta è di grande saggezza. Mi atterrò alle sue indicazioni. Il tema da me sollevato nei giorni passati non rappresentava nelle mie intenzioni un’intromissione circa i possibili nomi per il Quirinale che dipendono innanzitutto dalla volontà dell’attuale presidente Mattarella». Un’affermazione quest’ultima da cui traspare la speranza dem di una rielezione di Mattarella. Ma se il capo dello Stato non concederà il bis il Pd sarà costretto a un accordo con la Lega, perché i dirigenti dem non possono permettersi di ripetere l’errore di Pier Luigi Bersani con i 101, rifiutando un patto con tutte le forze della maggioranza».

Retroscena interessante anche quello della coppia Iasevoli e Picariello per Avvenire.

«Il selfie di Cernobbio – Matteo Salvini e Giorgia Meloni ritratti insieme entusiasti e sorridenti con lo sfondo del lago – rimescola le carte di uno dei semestri più ingarbugliati della storia repubblicana. Ma il Vietnam scatenato dalla Lega sul Green pass, più che un segnale a Mario Draghi – che ottiene alla fine l’ennesima tregua dal leader della Lega sembra diretto agli alleati-avversari Pd e M5s. Un avvertimento a non pensare, con la ‘scusa’ del Covid, di ‘ingessare’ l’attuale binomio al vertice delle massime istituzioni, inseguendo la prospettiva di un bis di Sergio Mattarella al Colle. Uno scenario prospettato da più parti, anche se ad escluderlo in tutti i modi e con tutti gli argomenti è stato più volte l’attuale inquilino del Quirinale. E come non leggere in questo modo anche la notizia, circolata con largo anticipo, dell’«udienza di congedo» in programma il 16 dicembre con papa Francesco «in vista della conclusione del suo settennato al Quirinale»? Ma i segnali di indisponibilità di Mattarella al bis, evidentemente, non hanno tranquillizzato il capo della Lega. Che per scongiurare completamente l’ipotesi ha scelto la via più drastica: vivere i prossimi mesi a braccetto con Meloni. Di modo da creare uno scenario che lo stesso capo dello Stato fermerebbe sul nascere, anzi non farebbe nemmeno nascere: ovvero quello in cui a spingere per un suo ‘bis’ sarebbe un pezzo dell’attuale maggioranza (Pd-5s) contro un altro pezzo (Lega) e contro l’attuale opposizione (Fdi). Una forzatura cui Mattarella non potrebbe mai prestarsi. In un Parlamento che già vive con la spada di Damocle della riduzione di deputati e senatori – votata dagli elettori quasi ‘sfiduciando’ l’attuale classe politica – e su cui grava l’accusa-sospetto di voler ‘campicchiare’ sino allo scatto della pensione dopo 4 anni, 6 mesi e 1 giorno, il Mattarella-bis ‘di parte’ potrebbe diventare oggetto di una campagna durissima delle destre del Paese ed essere un tema preponderante della lunga e sfibrante campagna elettorale verso il voto del 2023. Sono scenari estremamente divisivi che negli ultimi giorni devono essersi appalesati con una certa chiarezza anche a Enrico Letta e Giuseppe Conte, che non fanno più riferimenti al ‘bis’ di Mattarella, sono meno drastici nel dire che Draghi deve per forza restare a Palazzo Chigi e in sostanza – parole del segretario dem – chiedono una «moratoria» sul tema del Colle sino a metà gennaio 2022, quando i grandi elettori si raduneranno. D’altra parte, solo se riuscirà a calare un rispettoso silenzio intorno agli ultimi mesi del settennato di Mattarella si riuscirà a tenere aperta una porticina d’emergenza in caso d’impasse politico e istituzionale in Parlamento. Il ‘bis’, infatti, lungi dal poter essere un punto di partenza della partita per il Colle, può restare come mossa della disperazione chiesta da tutti i partiti, o almeno dalla stessa maggioranza che ora sostiene Draghi. Certamente non potrebbe restare fuori la Lega, il partito più votato nell’area locomotiva dell’Italia, e che fra l’altro guida ora la presidenza delle Regioni, le quali saranno parte integrante, con circa 60 rappresentanti, del plenum che si radunerà a Roma per eleggere il nuovo capo dello Stato. E in una situazione di estrema emergenza istituzionale, l’ala della Lega che fa riferimento a Giorgetti e ai governatori non farebbero fatica a esercitare una moral suasion su Salvini in nome della stabilità che il Paese richiede. Paradossalmente dalle schermaglie parlamentari di questa settimana il rapporto fra la Lega e Draghi non esce indebolito. Il premier è «quasi indispensabile», secondo la definizione usata a Rimini da Giancarlo Giorgetti. A cosa? Lo ha spiegato Paolo Gentiloni, sempre al Meeting: i miliardi in arrivo da Bruxelles si giustificheranno da ora in poi con le riforma fatte, non più solo annunciate. Pd-5s stavano costruendo uno schema per cui la necessaria continuità di Draghi a Palazzo Chigi passa per la riconferma di Mattarella. Salvini vuole spezzare questa ‘corrente di pensiero’ e la «moratoria» di Letta in qualche modo è una risposta al capo leghista: l’obiettivo di un ritrovato ‘silenzio’ potrebbe essere proprio quello di sgombrare il campo dall’idea che sostenere Draghi avrebbe come corollario altrettanto «indispensabile» la riconferma di Mattarella. In tutto questo nulla si sa, e nulla resta annotato sui taccuini (nemmeno il movimento di un sopracciglio) sull’idea che Mario Draghi coltiva sul suo futuro. Si può solo registrare un ruolo particolarmente attivo che ha sviluppato sullo scenario internazionale – ora in preparazione del G20, ma soprattutto assumendo un ruolo guida nelle riunioni del Consiglio Europeo cui ha partecipato – e chi lo vede, piuttosto, proiettato su una prospettiva di vertice in Europa (la Commissione Europea, sia detto per la cronaca, scade nel 2024) ha le sue buone ragioni per sostenerlo. In questo scenario, sulla tenuta della legislatura pesa moltissimo anche l’incognita del partito di maggioranza relativa, il M5s, diviso fra chi, come il leader Giuseppe Conte, potrebbe essere tentato dalla voglia di ricercare presto una legittimazione elettorale, e i singoli parlamentari che fretta di votare ne mostrano poca. Di certo un trasloco al Colle dell’attuale premier incontrerebbe un poderoso ostacolo proprio nell’accostamento che viene sempre fatto, per quest’ ipotesi, all’idea del voto anticipato. E di sicuro, nel segreto dell’urna, l’idea di accelerare, votando Draghi, la fine della legislatura potrebbe essere un potente freno ad assecondare questa prospettiva».

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