Dunque anche in Italia si comincia a programmare la terza dose del vaccino. Richiamo essenziale per i fragili e per quelle categorie, come medici e infermieri che si vaccinarono per primi. Paolo Russo per La Stampa
«L’aumento del 5-600% dei contagi tra medici e infermieri confermato anche dagli ultimi dati di settembre sommati ai focolai che qua e là tornano ad accendersi nelle Rsa spingono il governo ad accelerare con la terza dose. Che dopo i tre milioni di immunocompromessi, che hanno iniziato da ieri a riceverla, continuerà da metà ottobre contestualmente con il mezzo milione di ospiti e personale delle residenze socio-sanitarie, i quattro milioni e mezzo di over 80 e gli 800 mila sanitari in senso stretto del pubblico e del privato, che contrariamente alle previsioni dei giorni scorsi non saranno più «gli ultimi dei primi». In tutto 8,8 milioni di persone che il vaccino lo hanno fatto tra gennaio e febbraio. Un intervallo di tempo che a giudicare dalla ripresa dei casi fa pensare a un calo della barriera immunitaria alzata dagli antidoti, tanto da suggerire di rinforzare le difese con una dose che i tecnici chiamano “booster” e che i dati di Israele dimostrano funzionare decisamente bene. Nonostante la variante delta, la protezione dal contagio puro e semplice sarebbe salita al 90 e più per cento. Non poco considerando che parliamo di una popolazione fragile o maggiormente esposta al rischio, come i sanitari. La protezione sale poi al 95% rispetto al rischio di ricovero e sfiora il 100% quando si parla del rischio di decessi o terapia intensiva. Sono questi numeri, insieme alla ripresa dei focolai nelle strutture sanitarie, ad aver spinto i super tecnici della salute a premere il piede sull’acceleratore. Anche se, come ha ricordato ieri il Generale Figliuolo, prima dovrà arrivare in settimana il via libera del Cts, che a questo punto appare però scontato. Tanto che nella struttura commissariale già si scaldano i motori e si contano le munizioni nel caricatore: in tutto da qui a fine anno 35 milioni di dosi Moderna e Pfizer, compresi 10 milioni rimasti in frigo per il rallentamento della campagna vaccinale delle ultime settimane. Ma non degli ultimi 5 giorni, durante in quali si è registrato un aumento del 30% delle somministrazioni, destinato a crescere a breve per effetto del boom delle prenotazioni, spinto dal “Super green pass”. «Ma il problema dal punto logistico non esiste, con la riserva di dosi da qui a fine anno siamo in grado sia di completare la campagna vaccinale che quella di rinforzo per la popolazione più fragile e a rischio professionale di contagio», spiegano gli uomini del generale. E anche le Asl e ospedali, afferma Giovanni Migliore, presidente della Fiaso, la Federazione che le rappresenta, «sono pronte a proseguire sui tre fronti: quelli dei fragili, di chi deve ancora fare la seconda dose e di quelli che esitano». Al ministero della Salute i fari sono invece puntati sull’aumento dei casi tra i vaccinati della prima ora, che se confermati nei prossimi giorni sarebbero indicativi del fatto che almeno rispetto al rischio di contagio la protezione vaccinale più di 8 mesi non andrebbe. Anche se il vaccino anche dopo quest’ arco di tempo sembra continuare a difendere benissimo dalle forme gravi di malattia e dagli eventi fatali. Nelle Rsa, ad esempio, nonostante il 99% di personale ed ospiti sia già immunizzato con due dosi, focolai si segnalano in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Calabria, Puglia e Sicilia, anche se in termini percentuali siamo sicuramente ben lontani da quell’8,5% di anziani contagiati della prima ondata. Ma soprattutto soltanto un 20% finisce in ospedale e nessuno in terapia intensiva, mentre prima del vaccino in questa fascia di popolazione quando il virus attecchiva spediva in oltre il 40% dei casi in terapia intensiva e il 27% non ce la faceva proprio a superare l’infezione. Ma per evitare il rischio che con il tempo la difese calino a tal punto da tornare a quelle tragiche percentuali si è deciso per sicurezza di procedere con la terza dose, che deve essere somministrata a sei mesi di distanza dalla seconda, contrariamente agli immunocompromessi, i quali possono riceverla invece dopo soli 28 giorni».
La Pfizer accelera sui bimbi e sostiene che il vaccino funziona bene anche tra i 5 e gli 11 anni. Elena Dusi per Repubblica.
«Il vaccino di Pfizer contro il Covid per i bambini tra 5 e 11 anni «è sicuro, ben tollerato» e genera «una risposta immunitaria robusta». La dose è un terzo rispetto agli adulti: 10 microgrammi contro 30, ma serviranno sempre due punture, a 21 giorni di distanza. Si avvicina così l’uso di Pfizer in età pediatrica. La casa farmaceutica dovrà prima sottoporre i dati delle sperimentazioni alle autorità regolatorie – Fda negli Stati Uniti ed Ema in Europa – e poi aspettare un’approvazione che, salvo sorprese, dovrebbe arrivare a fine ottobre negli Usa ed entro la metà di novembre da noi. La notizia dell’efficacia è arrivata ieri con un comunicato stampa di Pfizer e BionTech, le due aziende che hanno messo a punto il vaccino, al momento già autorizzato dai 12 anni in su. Il titolo anticorpale dei bambini 5-11 anni è in media 1.197, quello del gruppo 16-25 anni usato come confronto (con la dose tripla) è 1.146. Simili anche gli effetti collaterali: un giorno di febbre, stanchezza e male al braccio, ma leggermente più tenui rispetto agli adulti. Pfizer e BionTech non hanno diffuso dati su eventuali bambini vaccinati e poi contagiati, mentre avevano fornito la cifra dopo i test sugli adulti. La sperimentazione ha coinvolto dall’inizio dell’anno 4.500 bambini dai 6 mesi agli 11 anni in Stati Uniti, Finlandia, Polonia e Spagna. L’obiettivo finale è infatti immunizzare tutte le fasce d’età, a partire dai neonati. I dati però verranno sottomessi alle autorità regolatorie in tranche. Si partirà appunto con i 5-11 anni. Qui i piccoli volontari sono stati 2.268. Hanno ricevuto un terzo della dose perché il loro sistema immunitario è molto più reattivo e perché gli effetti collaterali come febbre e dolori rischiavano di essere fastidiosi. Per i bambini ancora più piccoli – a loro volta suddivisi in due categorie: 2-5 anni e 6 mesi-2 anni – i risultati verranno presentati successivamente (Pfizer e BionTech promettono tra novembre e dicembre). Qui il dosaggio è ridotto a 3 microgrammi. La campagna vaccinale degli adolescenti con Pfizer e Moderna in Israele, Usa ed Europa ha fatto notare alcuni casi di miocardite (un’infezione al cuore): 60-70 ogni milione di iniezioni, soprattutto nei maschi di 16-17 anni. Il trial di Pfizer nei bambini non ha notato questo effetto. Ma ci sono due caveat: abbiamo letto solo un comunicato stampa, non i dati completi che verranno trasmessi a Fda ed Ema. E il disturbo è così raro (e lieve) che il campione ridotto di una sperimentazione difficilmente lo avrebbe fatto emergere. Questo resta vero anche se a luglio l’Fda aveva chiesto alle case farmaceutiche – anche Moderna sta sperimentando un vaccino per i piccoli – di ampliare la coorte dei volontari. L’approvazione di un vaccino anche in età prescolare rafforzerebbe un dibattito che alcuni Paesi hanno già iniziato ad affrontare. Il dubbio è se valga la pena di avviare una campagna vaccinale in una classe di età che in genere il Covid risparmia, non in termini di contagi ma di gravità. A oggi in Italia si sono infettati 261mila bambini con meno di 9 anni, con 14 decessi. Tra 10 e 19 anni ci sono stati invece 480 mila positivi e 19 vittime. Con la vaccinazione degli adulti, però, l’età media degli infetti tende ad abbassarsi. Oggi in Italia un nuovo caso su 4 ha meno di 18 anni. Negli Usa la riapertura delle scuole ha portato a un moltiplicarsi di casi: si parla di un dato complessivo del +240% da luglio. I ricoveri dei minorenni sono quintuplicati, quelli dei bambini al di sotto dei 4 anni sono decuplicati, secondo i dati dei Centers for disease control (Cdc). In Italia le aule sono aperte da troppo poco tempo per notare un effetto. Ma ovviamente la scuola genera allerta. E la Dad è uno spettro che si cerca di scacciare a tutti i costi. Per questo la posizione ufficiale della Società italiana di pediatria è favorevole: «Se le agenzie regolatorie si esprimeranno favorevolmente, sosteniamo la vaccinazione in questa fascia di età».
Anche in Vaticano diventa obbligatorio il Green pass, dal primo ottobre. Enrico Lenzi per Avvenire.
«Anche nello Stato della Città del Vaticano, il green pass diventerà necessario per entrare nei confini nazionali e nei palazzi romani che sono territorio vaticano in base al Trattato dei Patti Lateranensi firmati l’11 febbraio 1929. L’ordinanza del presidente della Pontificia Commissione dello Stato della Città del Vaticano, il cardinale Giuseppe Bertello, entrerà in vigore dal prossimo primo ottobre. Un ulteriore passo nella lotta alla prevenzione del virus, e un chiaro invito ad aderire alla campagnia vaccinale anche in Vaticano. Del resto lo stesso papa Francesco in un videomessaggio alle popolazioni dell’America Latina ha definito «un atto d’amore» il vaccinarsi. E già nel febbraio scorso (in data 8 febbraio) lo Stato della Città del Vaticano aveva deciso – accanto alle norme su mascherine, distanziamento e norme igieniche – che «il lavoratore che senza comprovate ragioni di salute rifiuti di sottoporsi a vaccinazione, è soggetto allo spostamento a mansioni differenti», una norma a tutela dell’intera comunità di lavoro. La nuova obbligatorietà del green pass, però, non riguarda, precisa l’ordinanza emanata ieri, «coloro che parteciperano alle celebrazioni liturgiche per il tempo strettamente necessario allo svolgimento del rito», dove restano comunque in vigore l’obbligo di mascherina, il distanziamento e il divieto di assembramento. Dunque per assistere alla Messa presieduta dal Papa nella Basilica di San Pietro non è necessario il green pass, mentre va esibito se dentro alla Basilica Vaticana accedo in qualsiasi altro momento. Per i Musei Vaticani l’obbligo di green pass era già previsto. Le nuove disposizioni, che partiranno con il prossimo mese di ottobre, «si applicano ai cittadini, ai residenti nello Stato, al personale in servizio, a qualsiasi titolo, nel Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e nei vari organismi della Curia Romana e delle Istituzioni ad essa collegate, a tutti i visitatori e fruitori di servizi». A controllare il possesso del green pass (o quello emesso dal Vaticano – dove vi è stata una campagna vaccinale per i suoi cittadini -, o la certificazione verde estera comprovante l’avvenuta vaccinazione, o la guarigione dal Covid-19 oppure l’effettuazione del tampone rapido con esito negativo) sarà il corpo della Gendarmeria vaticana. Oltre allo Stato della Città del Vaticano, i cui confini sono definiti dalle Mura Leonine, l’ordinanza firmata dal cardinale Bertello riguarda anche alcuni palazzi romani di sovranità vaticana, come, ad esempio, quelli che ospitano Propaganda Fide; l’ex Santo Uffizio e il Vicariato di Roma, ma anche le sedi dell’Università Gregoriana, dell’Istituto Biblico, dell’Istituto Orientale, dell’Archeologico, del Seminario russo e anche in quello lombardo.